Elezioni Israele. Iran, Siria e “primavere arabe” spingono la destra al governo

Di Francesco Amicone
09 Gennaio 2013
Per il giornalista e saggista Carlo Panella, la sinistra frammentata sconta l'assenza di un leader. I sondaggi danno alla destra la maggioranza assoluta

Il 22 gennaio le elezioni in Israele. In palio centoventi posti per trentaquattro partiti. Secondo gli ultimi sondaggi, la destra avrebbe la maggioranza assoluta dei consensi e sicuramente andrà al governo. L’alleanza fra il Likud del premier Benjamin Netanyahu e il partito dell’ex ministro degli esteri Avigdor Lieberman primeggia nei sondaggi, con un 35 per cento. Ancora più a destra c’è Jewish Home, il “partito dei coloni”, guidato dal giovane imprenditore Naftali Bennett, che si attesta al 15 per cento, terzo partito appena dopo i labour israeliani. «La sinistra sconta la frammentazione e l’assenza di leader convincenti», spiega a tempi.it il giornalista e saggista Carlo Panella, «sia il partito laburista guidato da Shelly Yachimovich, sia quello di centro dell’ex ministro degli esteri Tzipi Livni non possono competere con il carisma dei tre leader di destra».

L’assenza di concorrenti carismatici a sinistra è l’unica ragione della disfatta della sinistra nei sondaggi?
Oltre alla leadership e alla frantumazione del partito laburista, dopo la partenza di Ehud Barak, la sinistra deve scontare un naturale spostamento dell’elettorato israeliano, sul quale pesano l’effetto delle primavere arabe, l’incertezza in Siria e il pericolo iraniano, nonché il deterioramento della situazione interna egiziana.

Bennett sembra la sorpresa di queste elezioni.
Bennett è un leader carismatico che rientra nelle posizioni della destra israeliana. Certo, afferma che il sessanta per cento della Cisgiordania sia israeliano, perà sta soprattutto puntando sull’economia, sul costo della vita in Israele.

La questione palestinese. Quanto conta in queste elezioni?
Poco. Per gli israeliani il problema della Palestina è l’assenza di personalità con cui confrontarsi. L’inconsistenza di Abu Mazen, poco rappresentativo, si è rivelata ancor più con l’infausta mossa all’Onu di chiedere il riconoscimento dello Stato palestinese; così non ha guadagnato la fiducia dei palestinesi e si è screditato come interlocutore.

Il prossimo governo come affronterà i nodi sulla Palestina e sull’Iran?
Sostanzialmente cambierà poco. Dipende dagli Stati Uniti. Con il nuovo esecutivo, Obama tenterà subito un’ultima carta con l’Iran. Un negoziato che probabilmente fallirà. E il nuovo ministro della difesa americano Chuck Hagel, per quanto ne so, è un politico che se non ottiene risposta, non sta certo a temporeggiare.

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