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Kengiro Azuma, lo scultore che voleva fare il kamikaze per l’imperatore
Nato in Giappone nel 1926, figlio di fonditori del bronzo, Kengiro Azuma è fiero di aver «ereditato il sangue di artigiano». Giovane pilota dell’accademia, scelse, credendo totalmente nell’imperatore, di diventare kamikaze. «Ero pronto a partire, volevo partire per morire, avrei offerto la mia vita per l’imperatore, che consideravo come un dio. Una settimana prima della mia missione è finita la guerra ed è saltato fuori che l’imperatore era come noi. Questo mi ha provocato una grande disperazione». La sofferenza provocata da questa esperienza lo ha spinto a riflettere sul mondo dell’arte e a sperare che questo potesse colmare quel vuoto lasciatogli dalla perdita di ogni certezza. Il passo verso la scultura fu breve. Dopo l’università d’arte di Tokio Azuma, attratto dalla corrente francese, aveva programmato di andare a Parigi per proseguire gli studi.
Ma una volta scoperta la scultura di Marino Marini le cose andarono diversamente. «Quando vidi per la prima volta le sue opere, così diverse dalla scuola francese che mi aveva attratto, decisi di chiedere la borsa di studio per venire a studiare a Milano all’Accademia di Brera con Marino Marini. All’inizio mi ispiravo soprattutto alle sue sculture, ma egli non smetteva di ripetermi: “Azuma, sei giapponese, non dimenticarlo!” Era un modo per sollecitarmi a cercare l’ispirazione nelle radici della mia cultura. Marino era italiano, figlio di un paese caldo, interessato alla cultura fredda, come quella nordica o orientale. Chi l’avrebbe detto che in Italia avrei incontrato un vero maestro zen». A Milano Azuma ha potuto approfondire la ricerca sulla dottrina dualistica degli opposti propria della filosofia zen che è alla base delle sue creazioni: «Ogni oggetto presenta un dualismo tra gli opposti, come il pieno e il vuoto, il bene e il male. Ciò che ha guidato la mia ricerca è l’interesse per il Mu, che è invisibile, come l’anima, la fantasia, il sogno. Il Mu, pur opponendosi allo Yu, ha bisogno di quest’ultimo per manifestarsi. Alla base di ogni mia opera c’è, infatti, il disegno che, frutto dei miei pensieri, è invisibile. Ma per completare il lavoro, devo andare oltre il disegno e dar forma all’invisibile».
E’ proprio il concetto del Mu ad essere approfondito nella retrospettiva Kengiro Azuma 1961 che con una serie di opere del 1961 – data che segna il passaggio da una pratica figurativa atta a emulare la scultura di Marini a una espressione piu autonoma e astratta – aprirà al pubblico il prossimo 30 settembre, presso il Museo del Novecento di Milano. Egli la scelse «perché era una città moderna che viveva nel presente, una città cosmopolita, luogo di incontro tra la cultura mediterranea e quella nord europea. Una città ricca di artisti, architetti e letterati italiani, non come Parigi e New York, città piene di personalità note, la maggior parte delle quali straniere». Milano era perfetta a raccogliere la filosofia zen, l’idea che la frenetica ricerca del possesso e della materia conta ben poco nella vita e che ciò che ha davvero importanza è la dimensione spirituale, una dimensione di cui Azuma è alla ricerca da tempo. «Dopo la guerra» conclude con un flashback «è come se la fede fosse uscita dal mio corpo lasciando solo la materia. La scultura mi ha aiutato molto, ma ancora oggi sono alla ricerca di quella fede perduta».
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