Muore padre Bossi, «missionario radicale, rapito dal Vangelo prima che dagli estremisti»

Di Leone Grotti
24 Settembre 2012
Intervista a Gerolamo Fazzini, direttore di Mondo e missione, che racconta la vita, il rapimento e la morte del missionario del Pime Giancarlo Bossi, 32 anni passati nelle Filippine «per i poveri».

«Padre Giancarlo Bossi (nella foto) era un uomo di un’umiltà quasi fastidiosa. Io lo definirei l’uomo del “punto e basta”, perché quest’espressione che usava di continuo riflette la sua struttura contadina, essenziale, pragmatica, attenta a poche cose fondamentali». Così il direttore della rivista del Pime Mondo e Missione Gerolamo Fazzini ricorda padre Giancarlo Bossi, missionario del Pime morto ieri dopo una lunga malattia. Bossi, originario di Abbiategrasso, è stato missionario nelle Filippine per 32 anni. Nel 2007 tutti i giornali hanno parlato di lui perché è stato rapito per 40 giorni da un gruppo di miliziani islamici. Rilasciato, dopo un periodo trascorso in Italia, è tornato nelle Filippine fino a quando la malattia non l’ha costretto al rientro in Italia. «Dopo il rapimento non voleva parlare ai giornalisti di quanto successo» spiega a tempi.it Fazzini, «poi ha deciso di rilasciarmi una lunga intervista, dalla quale ha preso forma il libro Rapito. Quaranta giorni con i ribelli, una vita nelle mani di Dio”».

Durante quell’incontro che cosa l’ha colpita di padre Bossi?
Due cose mi hanno subito colpito di lui: la prima è l’umiltà, era un uomo restio a parlare di sé, del rapimento, si negava ai microfoni, diciamo. La seconda era il suo radicalismo, in senso buono, espresso perfettamente dal suo intercalare preferito: “punto e basta”. Ecco io lo definirei l’uomo del punto e basta, per lui contavano poche cose. Tra queste, c’erano la passione missionaria, la tensione ad annunciare il Vangelo, e l’amore ai poveri. Colpiva di lui anche il contrasto tra la sua stazza fisica, tanto che lo chiamavano il “gigante buono” e il suo cuore grande, che si commuoveva facilmente.

Padre Bossi ha sempre lavorato per i filippini, perché è stato rapito nel 2007?
Lui aveva sempre lavorato in un ambiente a maggioranza musulmano, nell’isola di Mindanao, e la sua esperienza con la gente era sempre stata positiva, piena di dialogo e rispetto reciproco. Però non era uno stupido o uno sprovveduto e già prima di essere rapito sapeva che negli ultimi anni a Mindanao aveva preso piede Abu Sayyaf, formazione estremista islamica finanziata dall’estero, e che per quanto fosse stimato nel luogo dove abitava, Payao, c’era chi vedeva male la sua presenza missionaria. Il Pime negli anni ha avuto tante persone uccise o rapite da estremisti musulmani nelle Filippine.

Come ha vissuto i 40 giorni del rapimento?
Più di una volta ha collegato questi 40 giorni all’Esodo: leggeva il suo rapimento in chiave simbolica e spirituale. Per cui parlava del rapimento come di un cammino di conversione in cui il Signore si era fatto vicino in maniera imprevedibile, molto particolare ed esigente. Non ha mai maledetto il suo sequestro o i suoi rapitori perché ha sempre vissuto quel fatto come un’esperienza di Dio e di fede. Quell’esperienza per lui è stata poi molto dolorosa e faticosa, soprattutto dal punto di vista psicologico gli pesava molto che i parenti non sapessero niente di lui.

Padre Bossi amava ripetere: «Lasciatevi rapire da ideali grandi». Cosa intendeva?
Lui ha sempre adottato lo stile low-profile ma non era certo un tipo tiepido. Una delle frasi che ricordava sempre era quella di un prete molto importante per la sua vocazione: «Noi dobbiamo fare la rivoluzione», in senso cristiano ovviamente. Così ripeteva spesso che «prima che gli uomini di Abu Sayyaf, a rapirmi sono stati la radicalità del Vangelo, l’amore per Cristo e la passione per i poveri». Per questo ripeteva ai giovani di puntare in alto e farsi rapire da ideali grandi, perché grandi erano gli ideali da cui è stato rapito lui per tutta la vita.

@LeoneGrotti

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1 commento

  1. marco53

    «prima che gli uomini di Abu Sayyaf, a rapirmi sono stati la radicalità del Vangelo, l’amore per Cristo e la passione per i poveri».
    Che la Fede vince il mondo lo si vede qua.
    Ho saputo che il Padre missionario dopo un primo controllo delle cure,dall’esito confortante, aveva dato disponibilità ( e gli era stata acncordata) per servire la fede in una zona di grosso bisogno e per nulla “confortevole”.
    Dio ha voluto diversamente. Forse per indicarne il valore e lasciare un interrogativo a chi resta,

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