
Emanuele Banterle e quei trent’anni assieme a Testori e agli Incamminati
Il 16 settembre è scomparso a Milano, all’età di 55 anni dopo una grave malattia, Emanuele Banterle, figura cardine degli ultimi 30 anni del teatro italiano, sia in veste artistica sia organizzativa e produttiva. Una lunga carriera e prestigiosa carriera, segnata dal legame con Giovanni Testori con cui fondò nel 1979 la compagnia del Teatro de Gli Incamminati.
Pubblichiamo di seguito la recensione del libro Trenta volte Incamminati, uscito di recente in libreria, e che narra proprio quest’avventura. La recensione è apparsa su Tempi col titolo “Testori, gli Incamminati e il teatro con il popolo” (36/2011).
«Bisogna amarsi meno,/ bisogna lasciare al tempo/ l’ingorda gioia d’insegnare/ che l’amore non è ricevere,/ né dare. /ma lasciarsi prendere, affondare». Giovanni Testori scrisse questi versi per l’amato Alain. Non è difficile ricordare queste parole quando Luca Doninelli narra la storia che proprio dallo scrittore di Novate Milanese ha avuto origine e dalla sua amicizia trae continuità. È la storia della compagnia teatrale degli Incamminati e Doninelli la consegna alle pagine della rivista Communitas, in vendita nelle librerie Feltrinelli (7 euro). Quell’avventura, del tutto analoga a una storia d’amore, fu concepita una sera del 1978, quando cinque universitari ciellini andarono a bussare alla porta di Giovanni Testori. Usavano spesso brani dei suoi pezzi sul Corriere per i loro Tazebao in università. In maniera del tutto imprevedibile Testori si coinvolse con loro. Per lui l’amicizia era sempre fare qualcosa insieme, racconta Doninelli che a quei cinque si aggiungerà poco dopo. Nel 1983 l’idea che «lungi dal produrre sogni e illusioni, il teatro deve aiutarci a liberarci di ogni fatua rappresentazione dell’esistenza» ha il nome di una vera compagnia teatrale: Incamminati.
Nel 1989 portano al Meeting di Rimini il Miguel Mañara di Milosz. Lo spettacolo va in scena lungo le vie della città e lì si mostra di che pasta è fatto il carattere popolare della compagnia: «Non presuppone nessun per (il teatro “per” il popolo), quanto piuttosto, un “con”». Un accento eminentemente testoriano, come testoriana è ancora oggi quella compagnia che pure del maestro ha scelto di non mettere in scena più nulla dopo la sua morte. Emanuele Banterle, Gian Mario Bandera e Franco Branciaroli sono i geniali protagonisti di una storia che ha «fatto propria una parte molto intima del grande scrittore di Novate, trasformandola in un cammino artistico discontinuo, pieno di curve, drammatico: un cammino segnato dalla presenza di quello scrittore, di quell’uomo, con tutti i suoi pregi e difetti». Questo è il racconto di sopravvivere a Testori, senza il ricatto della replica, ma con l’ardire della fedeltà creativa. «Erano marcati a fuoco dalla sua persona non dalla sua estetica», scrive Doninelli. In altre parole, erano amici.
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