
Bruschi: «Bene al concorso per i docenti, si rompe un tabù durato 13 anni»
Per Max Bruschi, Ispettore scolastico per la Regione Lombardia ed ex consigliere del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, la lezione che tutti dovrebbero imparare a proposito di scuola e docenti è semplice: «Il “meglio” in un certo caso è nemico del bene» dice a tempi.it. «Per molti anni, dal ’99, in nome di un miglioramento delle norme di reclutamento, si è infatti finito per rinviare il bando di un nuovo concorso per gli insegnanti. E il risultato è stato che sopravvivono, da un lato, graduatorie concorsuali “di merito” vecchie in alcuni casi di oltre vent’anni, dall’altro, si è formata una graduatorie spropositata di abilitati. Tutte e due procedono per anzianità. Sistema, penso, unico al mondo».
Come giudica il concorso indetto dal ministro Profumo per il 2013?
Già nei tre anni in cui sono stato consigliere del ministro Gelmini ho ribadito costantemente la necessità di effettuare un concorso. Il sogno era di allineare una serie di riforme: della formazione iniziale dei docenti, delle nuove classi di concorso, del reclutamento. Purtroppo l’allineamento non si è verificato, perché i processi amministrativi sono farraginosi e perché in ognuno dei tre ambiti sono intervenuti, e in parte intervengono, esponenti di interessi contrapposti. Vedo positivamente il concorso: è un modo di rompere un tabù durato da 13 anni che prevedeva prima di fare la “grande riforma” del reclutamento. Meglio a questo punto della legislatura seguire la via vecchia mentre si prepara quella nuova.
Quali sono stati i tabù di questi anni?
Il testo unico delle leggi sulla scuola del 1994 prevede che metà dei docenti entrino in ruolo dalle graduatorie “per titoli”, oggi graduatorie “ad esaurimento”, metà dai concorsi per titolo di esami. Ma dopo il concorso del ’99, sebbene ne fosse previsto un altro per il 2002, non se ne sono più fatti. Tutti hanno inseguito la grande riforma. La Moratti voleva dare una svolta al reclutamento prevedendo albi e scelta delle scuole (la stessa ipotesi che poi venne ripresa nel progetto di legge Aprea, non a caso protagonista di quella stagione). In seguito, durante il governo Prodi, il ministro Fioroni abrogò il decreto legislativo che era l’embrione del “nuovo” reclutamento e ottenne una delega dal parlamento per rivedere la formazione iniziale dei docenti e le procedure del concorso. Il governo Prodi cadde e la delega rimase inattuata. Eccoci così al ministro Gelmini: si decise subito di rivedere la formazione iniziale (oggi nota come Tfa, Tirocinio formativo attivo), mentre il reclutamento era lasciato al dibattito parlamentare sulla legge Aprea. Quando poi ci si rese conto che la legge Aprea difficilmente sarebbe stata approvata, mi venne chiesto di mettere mano ad una riforma delle procedure di reclutamento. La bozza del decreto prevedeva una revisione delle prove concorsuali, una riforma radicale dei titoli professionali e nelle modalità di assegnazione alle scuole, che erano coinvolte nel processo. Questa bozza era pronta, quando di nuovo cambiò il governo. Punto e a capo. Ecco perché ho scritto che il meglio è nemico del bene. Il meglio sarebbe stato avere un concorso basato su nuove procedure, nuove classi di concorso, al termine del primo ciclo di Tfa. Ma il “bene” lo ha fatto oggi Profumo: essendo la legislatura in scadenza, se non bandisse il concorso ci sarebbe il rischio di ripetere un po’ quel che era successo nel 2002.
Mariastella Gelmini, a tempi.it, pur giudicando positivamente il concorso, ha aggiunto che forse sarebbe stato meglio attendere la fine del ciclo di Tfa, per tutelare i più giovani. Che ne pensa?
Se tutto fosse andato liscio e il precedente governo fosse rimasto in carica, a questo punto forse il primo ciclo del Tfa sarebbe finito. Ma i tempi tecnici del cambio della guardia hanno fatto slittare la procedura. I nuovi docenti abilitati attraverso il Tfa sanno che per loro abilitazione non significa posto di lavoro, ma devono avere la certezza che non partecipare a questo concorso per loro non significherà aver perso l’ultimo treno. Non fare concorsi per 13 anni ha “bruciato” platee di giovani meritevoli non per loro colpa, ma solo perché si sono trovati una pletora di persone che per anzianità o punteggio stavano prima di loro. Il concorso è l’unica possibilità in cui si sarebbero potute e si potranno dimostrare le capacità di ciascuno su un piano di parità. Secondo me, il problema non è lasciar fuori dal concorso i ragazzi del Tfa. Semmai il rischio maggiore è quello che il prossimo concorso sia bandito chissà quando. Meglio fare come negli altri paesi civili, con concorsi banditi a scadenza biennale regolare.
La Cgil chiede invece «chiarezza sulle modalità di reclutamento, perché non avvenga a scapito dei precari» delle graduatorie ad esaurimento.
Il testo unico è preciso sul reclutamento. Il 50 per cento è preso dalle graduatorie ad esaurimento, l’altro 50 per cento tramite concorso. È una norma chiara, che c’è da tempo immemorabile, visto che risale almeno agli anni ‘80. Quindi su questo aspetto non vedo alcun problema. Un altro elemento di cui si discute semmai è quella della platea del concorso: che in parte coincide con i membri dell’attuale graduatoria ad esaurimento. È vero, ma finalmente, a mio avviso, anche chi è in graduatoria avrà la possibilità di una “corsia di sorpasso” legale e reale, per far valere i propri meriti.
Cosa va ancora fatto secondo lei per la scuola?
Se ci limitiamo a questo scorcio di legislatura, credo occorra subito chiudere il pacchetto di riforme del precedente governo, cioè il regolamento dei licei internazionali ed europei, le classe di concorso e il nuovo reclutamento, e gli indicatori di valutazione, che ancora mancano, sui percorsi dell’istruzione secondaria di secondo grado. Questo sono passi che si possono fare in tempi abbastanza brevi. E anche rivedere i decreti che regolano gli esami di maturità: dato che licei e istituti tecnici e professionali hanno cambiato pelle, sarebbe necessario revisionare le prove degli esami di stato. E sarebbe un modo per far riflettere e lavorare le scuole sui nuovi ordinamenti.
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