
32 anni di Rocky Horror al cinema Mexico di Milano, «la mia bellissima ragione di vita»
Sono le 10 di mattina di una giornata qualunque sotto il caldo asfissiante di questo strano strascico di fine estate. In via Savona c’è una calma apparente: gli showroom dei grandi nomi della moda, che da un po’ di anni si sono trasferiti da queste parti, sono ancora chiusi, i caffè hanno pochi clienti e i negozi hanno le saracinesche abbassate. Il cinema Mexico, invece, ha la porta aperta. Antonio Sancassani, suo gestore e proprietario, ci sta aspettando per l’intervista. Entrare in una delle Rocky Horror House ufficiali (sono solo 5 in tutto il mondo) di mattina fa un certo effetto. Soprattutto perché, in quell’orario insolito, mostra tutto il suo fascino da bella addormentata che aspetta il suo Principe. Il signor Antonio, appunto, che quella porta la apre da 32 anni con lo stesso amore. Da quando, nel 1975, salvò questo cinema di periferia dalla chiusura: «Mi fu proposto di prenderlo in affitto dalla società per cui allora lavoravo, che gestiva una decina di cinema a Milano, tra cui appunto il Mexico. Allora era un cinema di periferia, proiettava due film al giorno di genere “leggero” e cominciava a risentire pesantemente della nascita delle televisioni private. Io, che desideravo avere una sala tutta mia, accettai questo incredibile salto nel buio».
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Il periodo non era dei migliori e il signor Antonio lo intuì subito. Bisognava cambiare qualcosa per non chiudere i battenti. La sua passione per il cinema gli venne in soccorso. Dopo qualche anno passato a trasmettere film d’essai in una sala totalmente rinnovata, nel 1981 arriva l’intuizione che cambierà la storia del cinema Mexico: «Mi accorsi che non c’era nessuna sala a Milano che includesse nella programmazione film musicali. Così, quando quasi per caso finii con l’imbattermi nella visione del Rocky Horror Picture Show ne rimasi folgorato e decisi di proiettarlo, nonostante il film (uscito nel 1975) fosse stato un flop clamoroso al botteghino americano». Il tempo gli darà ragione: il film verrà proiettato con successo per un intero anno, tutti i giorni.
Ma la spinta a osare ancora di più il signor Antonio la riceve dalla visione di Saranno Famosi, di Alan Parker, uscito nei primi giorni di programmazione del Rocky Horror al Mexico. In una sequenza di quel film, gli aspiranti ballerini e attori protagonisti si davano appuntamento al Rocky Horror Show. L’inquadratura successiva del film mostrava un locale alla periferia di New York e i ragazzi intenti a dialogare con lo schermo: «In quel momento ho capito perché ciclicamente al cinema venivano dei ragazzi americani che, durante la visione della pellicola, dialogavano con lo schermo. All’inizio non capivo e pensavo fossero solo dei disturbatori poi, osservando loro e il film, capii che quello era solo una modalità di visione. Del resto il Rocky Horror si adattava a questa forma di performance perché nasceva come musical teatrale. In quel momento mi chiesi: perché non posso fare anche io a Milano quello che fanno gli americani?». La consultazione con un gruppo di amici porta il signor Antonio a conoscere Claudio Bisio, che a quei tempi stava studiando alla scuola di recitazione del Piccolo Teatro. La sua scuola avrebbe presentato come saggio di fine anno proprio il Rocky Horror Show: «Gli chiesi se erano disposti a portare il loro saggio nella mia sala un sabato sera al secondo spettacolo per sondare il terreno. E ora, 32 anni dopo, siamo ancora qua».
Un successo che non si arresta, nonostante l’età e qualche fisiologico calo di pubblico negli anni scorsi. In questi ultimi 4-5 anni, però, lo spettacolo è tornato ai fasti di un tempo, perché «il cambio generazionale ha invogliato a partecipare a questo happening». Ogni angolo del cinema del signor Antonio custodisce un ricordo di questi 32 anni. I muri sono stati riaffrescati, ma nascondono ancora le foto della visita che Richard O’Brien, creatore del Rocky Horror, fece al cinema Mexico: «C’è anche il suo autografo, qui dietro, sul gesso. Che emozione quella serata».
Collateralmente alla Rocky Horror House, il cinema Mexico propone anche una programmazione in aperta controtendenza rispetto a quella delle numerosissime multisala che hanno invaso la città: «Ho fatto di necessità virtù. Gli anni passati qui dentro mi hanno insegnato che la chiusura dei monoschermi derivava dal fatto di non poter avere determinati film in esclusiva. Tutti i cinema storici di Milano hanno chiuso e oggi siamo rimasti in quattro, il Mexico e l’Arlecchino e due cinema ubicati all’interno della proprietà della curia, il Palestrina e l’Ariosto. Se il Mexico avesse seguito la corrente avrebbe chiuso nel giro di pochi mesi. Così ho deciso di rischiare e diventare indipendente, uscendo dal circuito convenzionale. Una strada in salita, certo, ma che mi ha riservato grosse sorprese».
Il titolare della sala di via Savona 57 da anni si lascia guidare dal suo istinto e dalla sua conoscenza del cinema di qualità per la scelta dei film da programmare: «Mi sono accorto che c’erano in giro tanti autori di opere prime e seconde, bravi ma senza distribuzione. Volevo contribuire a farli conoscere e, al contempo, desideravo avere delle pellicole in esclusiva». E così ha fatto. Al signor Sancassani si deve il successo a livello nazionale del bellissimo film d’esordio di Giorgio Diritti, Il vento fa il suo giro, girato nel 2005 e completamente ignorato dalla distribuzione fino al 2007, quando il cinema Mexico decise di proiettarlo il 1° giugno. Il film rimase in cartellone due anni e permise a Diritti di portare in giro per l’Italia la sua pellicola e di girare il suo secondo film, L’uomo che verrà, vincitore di 3 David di Donatello, tra cui quello come miglior film: «Ricordo ancora quel giorno. Stavo vedendo la premiazione in tv. Poco dopo Giorgio Diritti mi telefonò e mi disse: “Antonio, metà di questo David è tuo perché se non ci fosse stata la vetrina del cinema Mexico io al secondo film non sarei mai arrivato”. Immagini l’emozione per uno vecchio come me».
L’età anagrafica del signor Antonio ci è sconosciuta, ma l’età del suo cuore che si emoziona ancora nel varcare la soglia del cinema è pari a quella di un ragazzino: «Per me questo locale è la vita. Sono stato molto male in passato, a causa di una brutta malattia, e se non ci fosse stato il Mexico non so se ce l’avrei fatta ad andare avanti. Io sto bene qui, faccio il lavoro che amo e vado avanti con il coltello tra i denti, difendendo questo posto da tutti. Giornalmente ricevo offerte a destra e a manca, ma i soldi non m’interessano. Ho detto al mio pubblico che l’unica cosa che posso garantire è che finché sarò in vita io il Mexico farà cinema».
Salutiamo il signor Antonio, e gli chiediamo come sono andati gli incassi estivi: «Bene, siamo rimasti sempre aperti, anche il 15 agosto, e il pubblico ha gradito. Pensi che il film in cartellone, Singolarità di una ragazza bionda, del maestro Manoel De Oliveira, è in programmazione da quattro mesi e sta andando molto bene. Eppure la distribuzione l’aveva completamente ignorato». Ma il Mexico non chiude mai? «Veramente chiuderò qualche giorno in occasione del Festival di Venezia. Voglio andare a vedere il nuovo film di De Oliveira. Se è bello come i precedenti cercherò di portarlo al pubblico del Mexico».
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