
È morto Gabriel García Márquez. Se non fosse stato comunista l’avrebbe pensata «in tutto e per tutto come Gomez Davila»
È morto oggi nella sua casa di Città del Messico a 87 anni il premio Nobel alla letteratura Gabriel García Márquez
Con «la sua prosa trasparente, esatta, nervosa» è riuscito a diventare il romanziere più celebre dell’America latina. Capace di definire Fidel Castro «uno dei più grandi idealisti del secolo», ma anche di recensire entusiasticamente Dio ha bisogno degli uomini: «Una obra de arte completa, extraña y perdurable» e di affermare che, se non fosse un comunista, la penserebbe «in tutto e per tutto come Gomez Davila».
Gabo, per gli “amici”, Garcia Marketing, per i suoi detrattori, inizia la sua carriera con un acronimo: Ggm. Fra gli anni ’40 e ’50, Ggm fu un anonimo redattore, un dotatissimo rubrichista, reporter e critico cinematografico. Per una settimana fu anche l’editore del giornale più piccolo del mondo, El Comprimido. Finita l’epoca in cui aveva rappresentato una seccatura soltanto per gli educati impresari di cinema di Bogotà colpevoli di sprecare i propri «ingenti e rispettabili capitali» in filmucoli squallidi, nel 1967, trovò «la formula perfetta per vendere libri», Cent’anni di solitudine. Il sortilegio gli fruttò anche il Nobel per la letteratura e forse lo costrinse a un futuro da «pallido epigono di se stesso» (Antonio Gurrado).
La narrazione di Marquez procede come «una massa in movimento, una colata di lava appena espulsa dal cratere e, come la lava, disordinata, calda, espressione di vita non controllabile» scriveva Carlo Bo, più di vent’anni fa. Questa “colata” ci consegna la storia della famiglia Buendia. Di José Arcadio Buendia e Ursula Buendia, cugini, che per sfuggire alla persecuzione per il loro amore incestuoso, decidono di abbandonare il proprio paese e fondare, nel mezzo di una foresta, Macondo. E dal momento di quella fondazione, si dipana la storia della famiglia Buendia.
Il mito è «una forma simbolica del pensiero», disse Dario Del Corno. Una forma simbolica che, attraverso il racconto di un evento e la rappresentazione dei suoi protagonisti, organizza per analogia la «riflessione sull’esistenza e sull’esperienza dell’uomo». Del mito, stando alla definizione del grecista, Cent’anni di solitudine ha tutto. L’ha preso, secondo Cesare Segre, «dal modello più venerabile a disposizione, quello della Bibbia».
Città mitica è Macondo, dove, prima dell’arrivo di una società bananiera americana, «nessuno aveva più di trent’anni e non era morto nessuno». Uomo mitico è il Colonnello Aureliano Buendia, il quale «promosse trentadue sollevazioni armate e le perse tutte», «ebbe diciassette figli maschi da diciassette donne diverse». «Sfuggì a quattordici attentati, a settantatré imboscate e a un plotone di esecuzione. Sopravvisse a una dose di stricnina nel caffè che sarebbe bastata ad ammazzare un cavallo».
Marquez nella sua opera più nota è riuscito, attraverso il mito, a costruire un mondo, reale e simbolico, che fra le creazioni degli autori contemporanei è paragonabile soltanto a quello di Yoknapatawpha, la provincia inventata da William Faulkner.
Articoli correlati
6 commenti
I commenti sono chiusi.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!
Pensarla come Gomez Davila e non essere come lui è tipico da comunista, capace di mandare a quel paese la logica, pur di aver sempre ragione, secondo la mia visione dei comunisti.
Un autore cattolico come guareschi avrà fatto , mia opinone,di tutto per renderli migliori di quello che sono, ma rimangono un pericolo per l’ideologia di cui suono portatori e che la chiesa scomunicò nel 1949!
Tipico commento da cattotalebano, secondo la mia visione dei cattotalebani.
Non le viene il dubbio che nella battuta “se non fossi un comunista, la penserei in tutto e per tutto come Gomez Davila” c’è anche il gusto del paradosso e della provocazione intellettuale e che qualche differenza forse c’è?
Prima di rispondere si legga tutto Dávila (sempre che riesca a trovarlo in libreria) e tutto Márquez.
andrea, ci inchiniamo alla sua conoscenza degli autori nominati. resto dell’opinione che la forma mentis di sinistra tende sempre a far prevalere l’idea astratta sulla realtà, anche in persone che vivono a contatto ( oppure fingono?) col popolo. evidentemente pasolini era un’eccezione.
solo leggendo la biografia di gomez davila ( fervente cattolico tradizionalista) si capisce che tra i due deve esserci un abisso.
ah, già, perchè un comunista non può mai cambiare idea. non l’ho mai letto e non mi mancherà. adiòs.
Non leggere qualcosa perchè scritto da un comunista…. ….che sciocchezza.
Pasolini (gay, comunista) era molto stimato da don Giussani, tanto da citarlo in alcuni convegni politici negli anni 80.
E, mi pare di ricordare,si rammarcò pure di non averlo incontrato di persona.
Pensa un po che apertura mentale.