Tentar (un giudizio) non nuoce

Meloni-Trump. Una prova di equilibrio nell’Occidente che cambia

Di Raffaele Cattaneo
19 Aprile 2025
È sulla linea del dialogo e della moderazione che l'Italia può tornare a contare. La voce che serve è quella di chi non urla, ma costruisce
La presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni col presidente statunitense Donald Trump, Washington, Stati Uniti, 17 aprile 2025 (Foto Ansa)
La presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni col presidente statunitense Donald Trump, Washington, Stati Uniti, 17 aprile 2025 (Foto Ansa)

L’incontro tra Giorgia Meloni e Donald Trump alla Casa Bianca ha rappresentato una tappa significativa nel quadro dei rapporti transatlantici, e un passaggio che rafforza la posizione della premier sul piano politico interno. Al di là dei toni e della retorica di circostanza, ciò che è avvenuto a Washington dice molto del momento che stiamo attraversando e di come l’Italia prova a posizionarsi in un contesto internazionale sempre più complesso.

Meloni ha mantenuto una postura istituzionale. Ha riaffermato il sostegno all’Ucraina, rivendicando con chiarezza che «l’invasore è stato Putin», pur sapendo che il presidente americano non condivide questa visione. Ha difeso la competenza dell’Unione Europea in tema di dazi, ribadendo che nessuna intesa bilaterale può prescindere dal quadro comunitario. Ha proposto un vertice Italia-Usa-Ue da tenersi a Roma. E ha confermato l’impegno italiano a portare la spesa per la difesa al 2 per cento del Pil. A questo si aggiungono i dieci miliardi di investimenti italiani annunciati negli Stati Uniti.

Trump ha restituito alla premier italiana parole di stima, ma non ha modificato le sue posizioni. Ha rilanciato la soglia del 5 per cento per la spesa Nato. Ha glissato ogni riferimento a Ursula von der Leyen o al ruolo delle istituzioni europee. Ha ribadito il proprio approccio protezionista sui dazi. E ha posto nuovamente l’accento sulla necessità che l’Europa aumenti gli acquisti di gas e armi dagli Stati Uniti.

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Ragionevolezza, non forza

Eppure, al netto delle divergenze, è proprio in questa dialettica che si legge il risultato politico più rilevante. Meloni ha dimostrato di saper rappresentare il Paese con equilibrio, mantenendo un profilo internazionale credibile. Ha consolidato il suo ruolo anche in una dinamica di partito, oscurando – come è stato notato da molti opinionisti – il tentativo di altri alleati di rivendicare una posizione privilegiata nel rapporto con la presidenza repubblicana, schiacciandosi così sulle posizioni di Trump. E si è mossa con un linguaggio sobrio e una visione istituzionale, senza concessioni alla propaganda.

Sullo sfondo resta una distanza tra le due sponde dell’Atlantico, un’Europa che fatica ancora ad avere un’unica voce. Ma proprio per questo, l’Italia può e deve proporsi come un interlocutore affidabile, capace di tenere insieme fedeltà ai propri impegni e iniziativa politica, in un ruolo di ponte fra Europa e Stati Uniti, della cui alleanza abbiamo ancora bisogno se vogliamo ribadire un ruolo dell’Occidente nel futuro del mondo. Non è una postura nuova. C’è una vocazione, nella storia del nostro Paese, a farsi ponte tra le grandi potenze, offrendo equilibrio invece che schieramento, ragionevolezza invece che forza. È una tradizione politica che non ha mai separato il senso delle istituzioni dalla capacità di visione, che ha cercato di dare forma a un’Europa unita nella libertà e solidale nella responsabilità.

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Un passo nella giusta direzione

Il tempo che abbiamo davanti richiede governi stabili, dialoganti, responsabili. E una classe dirigente che sappia collocare l’Italia dentro una rete di alleanze non fondate sulla contrapposizione, ma sulla condivisione di valori e orizzonti comuni. È questa, oggi, la vera sfida per chi vuole restituire all’Occidente una nuova stagione di coesione e fiducia.

Meloni ha compiuto un passo in questa direzione. Il dialogo con Trump non ha prodotto annunci, ma ha confermato la possibilità di costruire relazioni solide anche in contesti difficili. La credibilità internazionale non si misura solo sui risultati immediati, ma sulla tenuta, sulla coerenza, sulla capacità di rappresentare un’identità politica che non teme la complessità. Serve una visione che riconosca nel confronto tra nazioni non un esercizio muscolare, ma un terreno per riaffermare la dignità dei popoli e la forza delle istituzioni. È una responsabilità che richiede pazienza, radici profonde e consapevolezza del proprio ruolo.

È su questa linea che l’Italia può tornare a contare. Quando ha saputo incarnare una politica capace di custodire il legame tra libertà e solidarietà, tra sussidiarietà e giustizia, il nostro Paese ha saputo farsi ascoltare anche dai più forti. Oggi come allora, la voce che serve è quella di chi non urla, ma costruisce.

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