L’(im)possibile convivenza di popoli in Medio-Oriente

Di Francesco Inguanti
25 Marzo 2025
Come si può vivere di speranza nel pieno di una guerra? Cronaca di un incontro a Palermo

Si vis pacem, para bellum. Questa famosa locuzione latina ricorda gli anni del liceo quando in piena guerra fredda i nostri insegnati ci ammonivano ricordandoci che essa era espressione del popolo romano, che della guerra faceva una ragione di vita, ma che ormai i popoli europei, che erano usciti indenni dalla II Guerra mondiale, conquistata la pace, l’avrebbero difesa e custodita senza fare più ricorso alle armi. Siamo così giunti ai giorni nostri con l’assoluta convinzione che la civilissima Europa non avrebbe più avuto bisogno di dotarsi di eserciti per difendere i propri confini, al massimo li avrebbe utilizzati per intervenire nelle “missioni di pace” all’estero. Ma le cose non sono andare esattamente così: salvo qualche piccola eccezione che – come si sa – serve per confermare la regola, nello spazio di meno di un mese le nazioni europee, – meglio i loro governanti -, hanno dovuto tradurre in un linguaggio più burocratico e moderno la famosissima locuzione latina di cui sopra. Ed ecco che è stato creato l’acronimo “ReArm Europe”, prontamente sostituito da uno meno invasivo denominato “Readiness 2030”, un’operazione di maquillage, visto che alla fine i contenuti sono gli stessi: quelli del riarmo europeo.

È chiaro che sia chi scrive che sia chi legge non ha alcun potere per intervenire su tali decisioni, salvo che una “vibrata protesta”, come diceva un famoso comico. Però non è concesso né a me né a voi, cari lettori, di assistere a tutto ciò con la passione e quindi il distacco con cui vediamo un film western.

L’(im)possibile convivenza di popoli in Medio-Oriente

In tal senso è bello dare notizia di una testimonianza e una proposta che c’è stata a Palermo alcuni giorni fa, con particolare riferimento ad una delle due guerre al confine dell’Europa, attraverso una iniziativa proposta dalla Facoltà Teologica di Sicilia, Comunione e Liberazione e il Centro Culturale Il Sentiero. In apparenza un semplice dibattito dal significativo titolo “MEDIO-ORIENTE. (IM)POSSIBILE CONVIVENZA DI POPOLI?”, ma in effetti molto di più perché l’obiettivo, in gran parte conseguito, era: come si può vivere di speranza nel pieno di una guerra? E quale deve essere il contenuto di questa speranza innanzitutto per chi la guerra la subisce?

Attorno ad un tavolo virtuale, perché gli interventi più decisivi sono stati effettuati necessariamente on line si sono ritrovati: il Cardinale Baldassarre Reina, Vicario Generale per la Diocesi di Roma, collegato da Roma, e Federica Sasso e Lucia D’Anna collegate da Gerusalemme.

L’introduzione e la illustrazione della complessa controversia è stata affidata a don Liborio Di Marco, vicepreside della Facoltà Teologica della Sicilia, il quale, grazie alla esperienza acquisita negli anni in cui è vissuto in Israele, ha ripercorso le tappe più drammatiche dello scontro tra israeliani e palestinesi, dall’immediato dopoguerra ad oggi, indicando i principali errori commessi da entrambe parti in guerra. Una prima dimostrazione che la giustizia non sta mai da una sola parte. A lui è stato affidato il compito di porre la questione di fondo: è sufficiente per ciascuno di noi limitarci a stabilire da quale parte schierarci? Soprattutto come cristiani, possiamo fare di più, rifiutando la comoda tentazione di porre bandierine da una parte o dall’altra?

Cosa ci chiede oggi il Signore?

La prima risposta è giunta dal Cardinale Baldo Reina il quale ha spostato subito il terreno del confronto riformulando la domanda così: “Cosa ci chiede il Signore in questo momento di fronte a questo conflitto e a tutti i conflitti in atto”? La sua risposta è stata semplice e concreta al tempo stesso. “Bisogna saper rintracciare dentro ogni conflitto le tracce di speranza che in essi sempre si trovano e sostenerle con tutte le energie”. A suo avviso occorre quindi gettare piccoli semi e difenderli e farli fruttificare pur in un terreno di guerra. Ha poi richiamato a mo’ di esempio la figura di Gesù che, come tutti ha dovuto combattere il male e la cattiveria degli uomini e per non arrendersi ad essi è giunto fino al sacrificio della morte in croce. “Per questi motivi – ha concluso – non bisogna stancarsi di raccontare le esperienze di pace che ci sono in tutte le guerre”.

Questo invito ha aperto alla parte più coinvolgente dell’incontro: la testimonianza di Federica e Anna da Gerusalemme. Inizialmente era previsto un collegamento in diretta ma due giorni prima entrambe hanno chiesto di registrare l’intervista di mattina perché la ripresa dei bombardamenti su Gerusalemme avrebbero provocato l’interruzione dell’energia elettrica e l’impossibilità di raccontare la loro esperienza per intero. Questa è stata la prima drammatica testimonianza della guerra da parte di chi la subisce e non la vede solo in televisione.

Federica e Lucia: vivere oggi a Gerusalemme

Federica Sasso vive in Israele da parecchi anni, dove lavora per il Rossing Center for Education and Dialogue, una ong composta da Israeliani e Palestinesi. La sua attività è prevalentemente educativa, ma è anche corrispondente per testate giornalistiche italiane e internazionali. È una facilitatrice qualificata e un’esperta podcaster. Vive a Gerusalemme con suo marito Mishy Harman e sua figlia.

Lucia D’Anna è una violoncellista. È sposata con un palestinese, vive anch’essa a Gerusalemme, dove insegna musica. Ha pubblicato un libro «Terra non promessa», ed è impegnata nel supportare progetti per i bambini in difficoltà.

Il giornalista Roberto Puglisi, che da Palermo ha curato l’intervista, ha chiesto ad entrambe per prima cosa una presentazione e poi una descrizione delle drammatiche condizioni in cui sono costrette a vivere.

La testimonianza più forte è stata il racconto del 7 ottobre del 2023, giorno dell’attacco di Hamas a Israele. Entrambe hanno testimoniato il dramma di quel giorno e il timore che quanto era stato costruito fino a quel momento sul terreno della convivenza poteva andare distrutto. Ma al tempo stesso, ciascuna per il proprio impegno professionale, ha testimoniato come sia stato possibile, seppur con grande fatica, rimettere insieme e far lavorare i bambini della scuola, appartenenti a famiglie di entrambi gli schieramenti in lotta, oppure proseguire nell’attività concertistica con persone che si trovavano su schieramenti contrapposti.

Sostenere la speranza

Ad entrambe alla fine è stata posta la domanda più decisiva: come si fa a sostenere la speranza in un contesto così drammatico?

Federica ha risposto che innanzitutto bisogna partire da un dato concreto e cioè che i cristiani sono una minoranza, ma che al tempo stesso sono portatori di un di più, di un diverso che ha radici storiche ma anche culturali, che vanno giocate nel presente. Ed ha poi concluso in modo quasi lapidario: la pace vuol dire sostenere l’umanizzazione dell’altro, di tutti quelli con cui abbiamo rapporti, perché solo un uomo integrale e non diviso in opposti schieramenti può sostenere un compito così gravoso.

Lucia ha innanzitutto richiamato l’importanza della figura del Cardinale Pizzaballa, che a suo avviso in questi anni è stato innanzitutto un pastore che ha curato e tenuto unito un gregge, che facilmente si sarebbe potuto disperdere. Ed ha ricordato l’importanza e il beneficio che tutti hanno tratto dalla preghiera comune che ha unito più di tanti discorsi e di tante strategie invocate da tutte le parti.

I numerosi ascoltatori in sala hanno trattenuto il respiro a lungo, tale è stata la provocazione della dirompente testimonianza delle due donne, finite in quella nazione per motivi di lavoro, che hanno trovato lì l’uomo con cui dividere il resto della loro vita, ed avere anche deciso di generare dei figli, in un contesto che parla innanzitutto di violenza e di morte.

La guerra non potrà mai dividerci da Dio

Patrizio Vitulo, responsabile di Comunione e Liberazione di Palermo, ha concluso la serata premettendo subito che un incontro simile non può indurre a concludere ma piuttosto ad andare avanti. Ha sintetizzato in tre punti il senso e il valore delle testimonianze e delle provocazioni di tutti gli interventi ascoltati: la capacità di incontrare tutti indipendentemente dall’appartenenza, la testimonianza dell’aiuto concreto da offrire e tutti, che gli interventi da Gerusalemme hanno espresso con dovizia di particolari, la capacità di stare in ogni situazione e in quella situazione, senza cedere alla tentazione di andare via.

Prima di chiudere l’incontro ha ringraziato il preside della Facoltà Teologica don Vito Impellizzeri per l’accoglienza, la collaborazione e la condivisione del gesto appena concluso e tutti i numerosi intervenuti. Ha letto in fine alcune parole del messaggio del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, per l’edizione 2025 del New York Encounter. “Quando parliamo di inferno, parliamo di separazione totale da Dio, e per quanto grave sia la guerra, essa non può e non potrà mai dividerci da Dio” E più avanti: “Concretamente, nelle nostre situazioni infernali, io sono stato testimone di molta speranza. La resilienza della comunità di Gaza, nonostante le difficili circostanze, è diventata un faro di speranza per molti. … Allo stesso modo, i nostri fedeli cristiani in Cisgiordania si sono rivolti a Dio per trovare conforto e speranza in questa stagione dolorosa; molti sono tornati ai Sacramenti e hanno cercato una vita cristiana più profonda”.

Non appena messaggio di speranza ma una testimonianza di speranza concreta e vissuta in ogni situazione anche la più dura e difficile alla quale anche i presenti sono stati chiamati partecipare,

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