
Memoria popolare
La correzione di don Giussani che diede la svolta alla presenza di Cl in università

Il 30 novembre 1973 viene approvata la legge numero 766 che introduce e regolamenta le elezioni degli organi di rappresentanza nelle università italiane, all’interno dei più corposi “decreti delegati” che hanno il compito di disegnare per la prima volta le modalità della partecipazione di studenti, famiglie e professori alla vita del sistema scolastico attraverso una partecipazione attiva e democratica, in quanto sono previste elezioni per i rappresentanti degli studenti e per quelli dei genitori nelle scuole medie superiori. Ministro dell’Istruzione all’epoca è Franco Maria Malfatti.
È, se così si può dire, la risposta del Parlamento alle rivolte studentesche nate dal 1968 in poi in tutte le sedi universitarie e scolastiche. Il primo tentativo di instaurare un dialogo fra il mondo della politica e quello dei movimenti giovanili studenteschi, il “Comitatone” creato nel 1973 presso l’Università statale di Milano, era naufragato tragicamente: ai rappresentanti dei partiti veniva di fatto impedito di parlare.
La risposta delle istituzioni al Sessantotto
Successivamente all’entrata in vigore dei decreti delegati le università italiane cominciarono a preparare le prime votazioni per gli organismi collegiali previsti nella riforma. Non è questa la sede per un giudizio approfondito di questo tentativo, ma due osservazioni meritano di esser fatte. La prima riguarda la risposta istituzionale al Sessantotto, che fu sostanzialmente formale nelle scuole come in tutti gli altri ambiti del vivere civile, a riprova del fatto che la società e la politica poco avevano capito della rivoluzione culturale più rilevante della parte finale del secolo scorso. In quegli anni di mutamenti radicali nella mentalità delle giovani generazioni, poco si capì del peso ed importanza di quel modificarsi degli orientamenti ultimi, che ancora oggi segnano sostanzialmente cambiamenti che sono diventati cultura dominante.
La seconda osservazione riguarda un fatto che è stato poco analizzato, conseguente alle prime votazioni peraltro contestate o impedite dall’estrema sinistra: nel giro di tre anni dalle prime elezioni, che si svolsero nel 1974, tutte le sigle universitarie studentesche più importanti si sciolsero o diventarono partiti politici in cerca di rappresentanza parlamentare. Nel 1976 si sciolse Lotta continua mentre il movimento studentesco si trasformò in Movimento dei lavoratori per il socialismo; l’anno seguente Avanguardia operaia si sciolse costituendo il partito Democrazia proletaria.
Le prime drammatiche elezioni
Le elezioni universitarie del 1975 a Milano furono drammatiche. Il movimento studentesco e tutti i gruppi della sinistra extraparlamentare avevano deciso di boicottarle, con argomentazioni del tipo “non si mette ai voti la rivoluzione”, “non si mette ai voti la politica antifascista militante”, cioè violenta. Insomma, non volevano che si mettesse ai voti l’ideologia vincente comunista, che si mettessero ai voti le verità della storia raccontata dai nuovi cattivi maestri.
In università ci sono sparuti gruppi che si rifanno alla destra, e ad essi viene impedito fisicamente di presentare liste; ci riescono invece i giovani del Partito comunista e i cattolici di Comunione e Liberazione più alcuni gruppi di ex fucini o giovani democristiani che non sempre hanno rapporti di simpatia con i ciellini. Particolare curioso, mentre a Milano l’ex movimento studentesco accusa Cl di essere di destra, a Roma nel febbraio del 1975 un gruppo di fascisti accoltella e massacra a colpi di mazza due ragazzi di Cl che stavano appendendo manifesti elettorali, riducendone uno in fin di vita: Lucio Brunelli, futuro direttore di Tv2000.
Le liste dei cattolici
Per gli studenti cattolici si pone la questione della partecipazione alle elezioni. Comunione e Liberazione era il gruppo più presente nelle università. Nel marzo 1973 c’era stato il convegno “Nelle università italiane per la liberazione” al Palalido di Milano che, alla presenza di Aldo Moro, aveva costituito il momento di presentazione del movimento nell’agone politico dopo la spaccatura interna del 1968 che aveva portato a esaurimento l’esperienza di Gioventù studentesca.
Erano anni particolari, nei quali la presunta originalità e sincerità del movimento studentesco si erano trasformate in una lotta violenta contro le istituzioni e avevano visto il passaggio alla lotta armata di decine di militanti dello stesso movimento. Coinvolgere gli altri gruppi presenti in università per difendere gli spazi di democrazia fu il primo obiettivo nel formare le liste, distinte per posizioni politiche ma solidali nella difesa della democrazia e dell’agibilità politica fortemente compromessa dalla violenza dell’estrema sinistra. Si cominciò così a discutere con i giovani della Democrazia cristiana.
Gli incontri con i giovani democristiani avvennero in via Nirone, sede storica della Dc lombarda. I giovani Dc erano tutti della corrente di sinistra chiamata “La Base” e facevano riferimento a Giovanni Marcora, esponente di spicco della Dc lombarda e nazionale. Le discussioni si protrassero a lungo anche perché c’era una parte della Fuci che era contraria alla alleanza con Cl. I capi dei giovani Dc (Giuseppe Baiocchi, Antonio Ballarin e Salvatore Donato) insistettero a lungo per chiamare la lista Cattolici democratici; di fronte alle resistenze mie e di Giancarlo Cesana propose “Cattolici popolari”: accettammo e la lista fu fatta.
A quelle prime elezioni, come poi per molti anni a seguire, la lista dei Cattolici popolari (presto abbreviata in Cp) vinse in quasi tutte le facoltà a Milano e in molte parti d’Italia con maggioranze importanti. In alcuni atenei l’equivalente della lista milanese andava sotto i nomi di “Università popolare” o “Università libera e popolare”.
La piattaforma dei Cp e la Cusl
Le elezioni si svolsero in un clima di violenza: coloro che volevano raggiungere i seggi elettorali dovevano percorrere stretti corridoi umani di centinaia di metri fra due ali di provocatori delle sigle dei movimenti extraparlamentari che scalciavano, sputavano, insultavano. La sera delle votazioni all’Università Cattolica arrivarono folti gruppi di Cl, operai ed adulti, perché era partito dalla Statale un corteo per andare a impadronirsi delle urne che durante il giorno erano state presidiate dai numerosi ciellini dell’ateneo cattolico. Evento non secondario in quel clima di intimidazione fu la cooperazione con diversi studenti della Fgci, la federazione giovanile comunista che si era presentata con proprie liste. Per i giovani comunisti era impensabile l’astensione, essendo i figli del più importante partito politico dell’opposizione.
La piattaforma elettorale dei Cattolici popolari dava la priorità, come era naturale in quel contesto, all’esigenza di ampliare gli spazi di democrazia reale, creare stabili rapporti con il corpo docente, mettere spazi fisici a disposizione di tutte le sigle degli studenti e non solo del movimento studentesco. Si impegnava anche su molti temi strettamente didattici: l’organizzazione degli appelli d’esame, la disponibilità e l’economicità delle dispense, le questioni di diritto allo studio. Tuttavia l’opera più significativa di quel periodo, operativamente parlando, fu la Cusl, Cooperativa universitaria studio e lavoro, fondata nel 1977, cioè tre anni dopo le prime elezioni. Sarà essa il braccio operativo dei Cattolici popolari nelle università per la gestione degli appartamenti per i fuori sede, l’edizione e la stampa di libri e dispense di corsi universitari e altre attività utili agli studenti.

Al di là del più storicamente importante contributo della presenza di Comunione e Liberazione, la Cusl fu sicuramente lo strumento più fantasioso e operativo dell’epoca. Fu lo strumento di una presenza libera, creativa, gratuita e intelligente al servizio degli studenti, fatta da altri studenti per pura gratuità. Una presenza che ha indicato un metodo di affronto del reale con tutte le sue positività e contraddizioni. Decine di studenti cominciarono a produrre dispense di corsi per chi non poteva frequentare le lezioni o là dove non c’erano libri di testo da condividere con i compagni. Si organizzarono i primi gruppi per trovare appartamenti e soluzioni per i molti fuori sede. Si gestivano attività di aiuto allo studio e di preparazione comune di esami. Venivano conclusi accordi con aziende per approvvigionare a prezzi più convenienti materiale didattico.
Tutto era fatto gratuitamente da studenti per altri studenti. È evidente come questa esperienza universitaria si sia anche riversata sul già esistente Movimento Popolare e sia all’origine della successiva presenza nella società di molti che hanno vissuto quell’esperienza, sia dal punto di vista culturale che da quello strettamente politico.
Dall’utopia alla presenza
La fecondità dell’esperienza della Cusl così come i risultati lusinghieri nelle elezioni universitarie degli anni Ottanta sono il risultato paradossale della correzione che don Luigi Giussani operò sull’esperienza del Clu soprattutto nel 1976, con l’Équipe di Riccione che riunì i responsabili dei Cp di tutta Italia, e negli anni seguenti. Paradossale perché Giussani denunciò l’attivismo che stava prendendo il posto della genuina esperienza cristiana, invitò a privilegiare la presenza contro la tentazione dell’utopia, cioè a privilegiare ciò di cui eravamo già portatori – l’unità e l’amicizia fra di noi in Cristo – rispetto a un progetto di cambiamento dell’università e della società. E proprio questa ricentratura produsse in poco tempo effetti concreti sull’organizzazione e sulla vita dell’università, si mostrò storicamente incidente molto più della precedente posizione reattiva, che era preoccupata di rispondere all’ideologia e al progetto marxisti allora dominanti e si metteva sul loro stesso piano.
Disse Giussani a Riccione:
«L’utopia ha come modalità di espressione il discorso, il progetto e la ricerca ansiosa di strumenti e di forme organizzative. La presenza ha come modalità di espressione un’amicizia operante, gesti di una soggettività diversa che si pone dentro tutto, usando di tutto (i banchi, lo studio, il tentativo di riforma dell’università, eccetera), e che risultano prima di tutto gesti di umanità reale, cioè di carità. Non si costruisce una realtà nuova con dei discorsi o dei progetti organizzativi, ma vivendo gesti di umanità nuova nel presente».
L’intervento completo di Giussani a Riccione si trova in Dall’utopia alla presenza (1975-1978), Bur, Milano 2006, pp. 49-74. Una ricostruzione esaustiva di quel periodo si trova in Alberto Savorana, Vita di don Giussani, Rizzoli, Milano 2013, pp. 473-485.
La prima politica è vivere
Questo nuovo inizio per la storia dei Cattolici popolari porta al manifesto preparato in vista delle elezioni universitarie e scritto alla fine del 1978 durante una vacanza natalizia di un ristretto gruppetto di universitari con don Giussani a Bratto, sotto il passo della Presolana. Il titolo del testo è “La prima politica è vivere”. Il linguaggio e i contenuti mostrano che le correzioni di don Giussani e la sua valorizzazione dei gruppi di persone che a Milano e a Roma corrispondevano all’impostazione che aveva rinnovato erano diventate coscienza diffusa.
Nel manifesto leggiamo:
«L’urgenza giovanile è il bisogno di incontrare una esperienza nuova, esistenziale e sociale, verificabile in modo da dar consistenza alla vita, da tracciarne coordinate stabili e sicure, che permettano di essere presenti anche dove gli altri sono assenti o, secondo l’uso corrente, declinano le proprie responsabilità. Ciò è possibile là dove uomini liberi, che desiderano la libertà altrui, impegnano tutta la propria responsabilità, nella condivisione, nella assunzione cosciente dei problemi della situazione che vivono. Per noi l’origine di un simile tentativo sta nell’avvenimento imprevisto dell’incontro con Gesù Cristo, presente, nella storia della Chiesa».
E ancora:
«La vita va ascoltata e seguita e non preceduta o emarginata in nome di presuntuosi apriori. Che cosa sono assunzione di responsabilità, politica e cultura se non il contenuto di una coscienza personale che vive come memoria e riproposizione di una vita diversa? A noi accade così. Verifichiamo che questo metodo è vero perché è risposta non meccanica, ma definitiva al bisogno di verità e di felicità che è in noi e quindi nell’uomo. È l’oggettività dell’esperienza e quindi della speranza cristiana che ci ispira i giudizi espressi. Giudizi certamente non infallibili nei dettagli ma veri e originali al fondo, verificabili da chiunque».
La passione per il giudizio e per la presenza della nostra comunione in Cristo ci ha accompagnati per tutto il resto della vita.
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