
Casca il mondo
Parole di troppo o troppa realtà?

A volte, e magari un po’ troppo spesso, ritornano. Ritorna la battaglia sulle parole, con una nuova proposta di cui si fa portavoce l’Istituto Treccani. L’ipotesi è quella di togliere la parola “minorati” che compare nell’articolo 38 della nostra Costituzione per sostituirla con un termine meno discriminatorio nei confronti dei disabili.
Riflettere sulle parole è sacrosanto, se e solo se l’esperienza umana è l’innesco della riflessione. Perché esistono parole brutte? Perché esistono gesti e pensieri cattivi sulle cose e sulle persone. Il sospetto dietro le sempre più serrate battaglie linguistiche è che, magari anche mosse da una premura buona, siano sorrette da una tentazione insidiosa: se cambio le parole, allora cambio anche la realtà e miglioro l’umanità.
Purtroppo la purificazione dei cuori non può partire da righe rosse sul dizionario. Per esagerazione: sarebbe bellissimo cancellare la parola pedofilia, se solo potesse significare l’annientamento di quest’orrore.
Oppure, ed è più pericoloso: scelgo parole più appropriate al contesto attuale e che, in realtà, sono cuscinetti per sentire meno l’urto del vissuto che indicano. Davvero siamo diventati più inclusivi e civili da quando ci invitano a usare “lavoratrice del sesso” al posto di “prostituta”?
Nell’articolo 38 si mette a tema il diritto all’educazione e all’avviamento professionale di chi è portatore di qualsiasi forma di disabilità. La lingua è riverbero dell’identità, non cipria per uniformare l’incarnato. Quali parole documentano lo stato attuale dell’impegno profuso per riconoscere alle “categorie protette” di sentirsi ed essere una risorsa, non una zavorra?
La realtà tutta intera è troppa. Talvolta è difficile da pronunciare perché è difficile digerirla. Il ritratto che affiora dalle parole che usiamo, o dalla scelta di evitarne alcune, è segno di qualcosa che accade prima. La voce testimonia la nostra accoglienza, o tremore, o rifiuto di ciò che esplode nel regno degli accadimenti.
Cosa esplode attorno a noi? Ad esempio, c’è un preoccupante aumento dei disturbi alimentari che insorgono sempre più precocemente, già dagli 8 anni. Lo testimoniano i dati raccolti dall’Ospedale Bambino Gesù di Roma negli anni 2019-2024. Oltre ad anoressia e bulimia, esiste l’Arfid. È un disturbo evitante-restrittivo «che porta con sé il terrore per il cibo: paura di non digerire, paura di soffocare oppure semplicemente la paura per la consistenza, l’odore e il gusto dell’alimento incriminato». La selezione può riguardare il colore del cibo, ad esempio: il bambino mangia solo cibi bianchi.
È un argomento complesso che non merita riduzioni. Possiamo, attoniti, fermarci sulla soglia di quest’immagine di un mondo infantile inappetente, che respinge quel motto tanto applaudito di Steve Jobs, «restate affamati». E dobbiamo mettere sotto inchiesta molto di noi se, di fronte all’avventura del gusto della vita, incombe una fobia che fa prevalere il terrore del soffocamento sul desiderio di assaggiare.