
A Beirut, sotto un cielo di bombe

Beirut. L’esplosione ci sorprende mentre l’ufficiale di Hezbollah ci sta mostrando le rovine di un palazzo di cinque piani colpito nei giorni scorsi. Un boato e poi il rumore di un crollo simile a un terremoto. Con altri giornalisti corro verso il punto della deflagrazione: un fumo denso, scuro, l’odore di esplosivo bruciato, il vento spinge verso di noi la gigantesca nube che ci avvolge e taglia il respiro. Un’intera casa si è accartocciata su se stessa.
Siamo entrati da poco a Beirut sud con la scorta dei miliziani. Doveva essere, nelle intenzioni di Hezbollah, l’occasione per mostrare ai giornalisti le devastazioni della periferia della città, dei quartieri di Dhaieh, di Chya, di Haret Hreik, dove è stato ucciso il capo della milizia partito sciita Hassan Nasrallah: i suoi ritratti campeggiano ovunque.

Il cratere coi palazzi intorno
Di colpo ci troviamo catapultati in prima linea: obiettivi di un attacco che nemmeno vediamo. Volano alti i droni che hanno indirizzato i missili israeliani. Vedo davanti a me il cratere della bomba, attorno si ergono i palazzi intatti. Un colpo preciso. Non sappiamo quante siano le vittime di questo ennesimo raid. Non sono ancora arrivati i soccorritori, del resto è impossibile avvicinarsi tra le macerie avvolte dal fumo. Brucia qualcosa sotto l’edificio, forse è proprio un deposito di munizioni. Materiale esplosivo che potrebbe deflagrare da un momento all’altro. Eppure gruppi di persone si avvicinano, ragazzi e donne velate camminano lungo la strada. Sembrano indifferenti. Altri imprecano, gridano e invocano vendetta.
Israele sta martellando tutto il Libano. Sa che Hezbollah, per quanto decapitato, ha ancora un ingente arsenale a sua disposizione. «Almeno cinque nuovi attacchi israeliani hanno preso di mira questa notte i sobborghi meridionali di Beirut», ci aveva detto una fonte che ci ha chiesto l’anonimato perché pochi sono autorizzati a parlare con la stampa. Si teme che possano arrivare agli israeliani preziose informazioni militari, ma l’impressione è che l’esercito e l’aviazione dello Stato ebraico sappiano bene cosa accade. Poche ore prima, si erano sentite diverse esplosioni e il fumo si alzava mentre divampavano gli incendi come quello che stiamo vedendo ora.
Vivere e dormire in strada
L’esercito israeliano ha dichiarato nelle ultime ore che stava «colpendo obiettivi terroristici di Hezbollah a Beirut». I recenti bombardamenti aerei in Libano avrebbero distrutto circa la metà dei missili e dei razzi che Hezbollah aveva accumulato in più di tre decenni, infliggendo un duro colpo alle capacità della milizia sciita: lo ha scritto il New York Times, citando alti funzionari israeliani e americani. Per questo, Hezbollah sta cercando di ottenere nuove armi dal suo alleato, l’Iran. Ma, sottolinea il quotidiano americano, l’arsenale del gruppo ha a disposizione ancora decine di migliaia di proiettili e razzi sparsi in tutto il Libano e Hezbollah minaccia un grande fuoco di fila che potrebbe sopraffare il sistema di difesa aerea Iron Dome di Israele. Tra le vittime degli ultimi giorni ci sarebbe un comandante di Hezbollah incaricato di tenere i collegamenti con Teheran.
Cresce ogni giorno il numero degli sfollati che fuggono dalle zone a rischio. Sono oltre un milione e la gestione della emergenza profughi, alloggiati ovunque a Beirut, è sempre più complicata. Le associazioni umanitarie e la cooperazione internazionale faticano a fornire l’assistenza necessaria. Intere famiglie dormono in strada o nelle rovine delle case distrutte dalla guerra, in pieno centro città.
La periferia sud di Beirut è un incubo, un incubo abitato da mezzo milione di persone. Tra palazzoni di dieci-quindici piani affastellati senza un senso apparente, si vedono i grandi crateri provocati dalle bombe, i muri merlettati dalle sparatorie della tante guerre, i campi profughi dove vivono rinchiusi duecentomila palestinesi.

«Quei bambini ci giudicheranno»
Nessuno parla volentieri e, del resto, i miliziani controllano i giornalisti che riescono a entrare nei quartieri. Ma alcuni rifugiati di Beirut ci raccontano le loro storie. Molte sono uguali, ma anche in esperienze di dolore simile, c’è chi è più ferito di altri. Abu Ali, ad esempio, vive in una casa semi diroccata tra le macerie, un tempo era ricco, era un importante funzionario di una banca che è stata chiusa cinque anni fa, all’inizio della crisi. Ha perso anche la liquidazione, 360 mila dollari: gli hanno dato un assegno in lire libanesi che non vale niente. Vive con cento euro al mese, gli ultimi che gli restano dai suoi risparmi, non ha pensione. Ha il diabete e la moglie malata. Non si lamenta e sorride: «Mi fido di Dio”.
Mustafà ha otto figli, faceva il meccanico. «Prima delle guerra mi ha ucciso la crisi, non avevo più clienti perché nessuno ha soldi», ci dice. Wissam, come tanti altri, ha cercato una speranza via mare, partendo con la moglie e quattro figli piccoli. «Ho ceduto la mia casa allo scafista che aveva promesso di portarci via nave a Cipro e poi verso l’Europa, in Grecia o in Italia. Ma era un barcone. Eravamo in 150, non volevamo partire, ci hanno costretto con le armi. La barca si è rovesciata. Avevo fatto indossare ai miei figli un giubbotto salvagente, ma i due più grandi sono stati trascinati lontano dalla corrente e mia moglie è rimasta con il più piccolo. Ho cercato di raggiungerli, pur non vedevo nulla. Mia figlia si era aggrappata alla mie spalle. Poi il buio. Come un incubo, sono rimasto in mare per due giorni. Anche mia figlia è scomparsa tra le acque… Mi ha soccorso una motovedetta. Hanno trovato i corpi di tre dei miei figli e di mia moglie, ma non del più piccolo, Omar».
Wissam parla seduto sui gradini di un rifugio improvvisato, dove oggi dorme. Mangia alla mensa di una Ong. Ha un solo pensiero: la sua famiglia, la moglie, i figli che ha seppellito e il piccolo scomparso in mare. Mi viene alla mente una frase che mi disse Giovanni Testori tanti anni fa: «Quei bambini un giorno ci giudicheranno».
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!