Che cosa può succedere dopo l’attacco di Israele a Hezbollah

Di Giancarlo Giojelli
26 Agosto 2024
I bombardamenti preventivi di Tel Aviv in Libano, le minacce di Nasrallah, la triplice risposta dell’Iran, il destino dei negoziati al Cairo, gli allarmi antiterrorismo in Europa
Israele
(foto Ansa)

Questa volta Israele non si è fatto sorprendere. Ha preso sul serio i messaggi e i video postati sui social da Hezbollah. In pochi minuti ha colpito cento postazioni di lancio del Partito di Dio libanese e, secondo fonti militari, un migliaio di obiettivi strategici, prevenendo l’attacco aereo che stava per essere sferrato contro il quartier generale del Mossad, come ha affermato lo stesso capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah: «L’obiettivo principale della azione era la base di Gillot, a un chilometro e mezzo da Tel Aviv».

Una pioggia di razzi dal Libano

Dal Libano in effetti è arrivata in risposta una pioggia di 320 razzi oltre il confine ma con scarsi risultati: a quanto pare è stata distrutta una fattoria dove si allevano polli e centinaia di uova sono finite in una grande frittata. Hezbollah canta ugualmente vittoria sui social, e ripubblica il filmato dove si vedono i missili nascosti nei tunnel “invulnerabili” agli attacchi, ma non è stato così. Sui social arabi i proclami dei jihadisti si intrecciano con beffardi commenti. Hassan Nasrallah è definito “il terrore dei polli” – la beffa dopo il danno: ma Israele non lo sottovaluta, e in tutto il Nord della Galilea resta lo stato di allarme.

Le spiagge di Tel Aviv sono semideserte, migliaia di rifugi sono stati allestiti: l’attacco può arrivare da ogni punto cardinale e Iron Dome può essere perforato se il numero di missili supera la capacità di risposta dello scudo che è potente ma non onnipotente. Si è visto.

Nuove vendette contro Israele

Nasrallah promette nuove vendette, l’attacco di Hezbollah bloccato dall’offensiva aerea israeliana non sarà certo l’ultimo: Nasrallah dice in un messaggio video ritrasmesso da tv e social libanesi che «potevamo colpire i civili ma non lo abbiamo fatto, Israele è responsabile della escalation, ha superato le linee rosse uccidendo civili», e aggiunge che «abbiamo aspettato per dare una possibilità ai colloqui al Cairo, ma ora non c’è più motivo di attendere, risponderemo individualmente».

Parole che sembrano voler dire che dal Libano non attenderanno né la conclusione dei colloqui né un coordinamento per un attacco simultaneo con il cosiddetto “asse della resistenza”, anche se alle sue minacce si aggiungono subito quelle di Hamas e degli Houthi: i proxy, i vicini, gli alleati dell’Iran. Spetta a loro la vendetta dopo le uccisioni del capo di Hamas, Ismail Haniyeh a Teheran, del numero due di Hezbollah Fouad Shukr, colpito a Beirut, del capo militare di Hamas, Mohammed Deif, polverizzato da un missile a Gaza.

Khamenei avrebbe voluto colpire Israele

Le fonti di intelligence dicono che la Guida suprema iraniana, Ali Khamenei, avrebbe voluto un attacco diretto e micidiale contro Israele ma i suoi generali lo avrebbero dissuaso. La risposta dell’aviazione israeliana sarebbe stata implacabile e i missili lanciati dall’Iran intercettati da Iron Dome o dalla aviazione degli Stati Uniti, ormai ben presente nell’area, e addirittura dai paesi arabi, sauditi e giordani in testa, che già intervennero per neutralizzare la pioggia di razzi lanciata in aprile dall’Iran.

Una umiliazione che avrebbe dato fiato alla opposizione interna iraniana, come ha rivelato l’ex capo delle Guardie della rivoluzione islamica, Moshen Sazegara. Fuggito negli Stati Uniti, Sazegara guida da lì i nemici del regime, nemici di cui si parla poco ma che non devono essere così deboli vista la violenza della repressione messa in atto da Teheran con le condanne a morte e il carcere duro per chi manifesta chiedendo libertà e le punizioni per le giovani donne che non seguono i diktat della moda integralista e non portano il velo in pubblico.

La triplice risposta di Khamenei

Khamenei avrebbe quindi optato per una triplice risposta di cui ora vediamo gli effetti:

1) attacchi militari indiretti usando i proxy (Hezbollah doveva attaccare nella notte tra sabato e domenica ma è stato prevenuto, Hamas minaccia nuove azioni, non è chiaro come e con quali forze ma ha ancora l’arma degli ostaggi, gli Houthi continuano la loro azione nello Stretto contro le navi dirette a Suez tenendo sotto pressione il mondo occidentale e hanno già dimostrato di poter lanciare razzi fino a Tel Aviv)

2) una strategia diplomatica affidata al nuovo presidente Masoud Pezeshkian, succeduto ad Ebrahim Raisi, morto in un mai chiarito incidente in elicottero. Per se, per ora, l’Iran riserva il compito di rinforzare i rapporti con i paesi sud americani, Venezuela in testa, e con Russia e Cina per aggirare le sanzione internazionali e rinsaldare la sua posizione all’Onu dove rivendica il ruolo di difensore dei diritti umani.

3) la guerra contro Israele e suoi interessi in Occidente affidata a lupi solitari, il franchising del terrore: non è chiaro se fanno già parte di quest’ultima strategia gli attentati di Solingen in Germania e contro la sinagoga in Francia, attacchi rivendicati dall’Isis che dell’Iran è nemico, ma è certo che la mobilitazione propal e anti israeliana (se non apertamente antisemita) sta montando, forse risvegliando cellule dormienti dei jihadisti e delle loro diverse sigle, spesso rivali, a volte alleate, sempre ugualmente imprevedibili e pericolose.

La lista comunista degli “amici” di Israele

In Italia compare la lista di “amici” di Israele: aziende, giornalisti, professionisti che in qualche modo lavorano con Israele (anche solo per organizzare viaggi o fabbricare lenti o start up sportive), tutti indicati con precisione dal sito del nuovo Partito Comunista Italiano: non avrebbe bisogno di commenti se non fosse che la tiepida reazione di buona parte della sinistra anti israeliana nel nostro paese lascia intendere che o quelle liste di proscrizione sono state accolte da una molto malcelata soddisfazione o sono state sottovalutate nei loro possibili sviluppi. Occorre dire quali? Indicarne cento è un passo verso il colpirne almeno uno per educare tutti. Ce ne siamo dimenticati? Era lo slogan di moda negli anni di piombo, e alcuni dei protagonisti di quegli anni, ora ultrasettantenni, sono tornati in piazza con tutta la loro giovanile voglia di antagonismo.

Un quadro che pesa sui colloqui del Cairo

Un quadro fosco che pesa sui colloqui al Cairo dove si decide la sorte degli ostaggi e dei due milioni di gazawi che vivono da undici mesi in un incubo. Agam Goldstein, una ragazza di venti anni che è stata ostaggio di Hamas e liberata nello scambio di prigionieri a novembre ha detto due giorni fa nel suo primo incontro pubblico: «Ero convinta che sarei stata uccisa o tenuta come schiava sessuale, ogni tanto pensavo che se fossi stata liberata avrei trovato fuori dai tunnel di Gaza il mondo ad abbracciarmi. Sono uscita per un miracolo ma il mondo non mi ha abbracciato: nei campus americani, nelle manifestazioni dei miei coetanei in Europa e America, ho visto lo stesso odio dei miei carcerieri».

Finirà in un modo o nell’altro, questa guerra, ma è chiaro che sarà solo la fine di una delle tante guerre che compongono la stessa, identica e globale guerra. Le proche orient non è solo il vicino oriente, è prochaine la prossima, e vicina, guerra totale, il futuro prossimo della nostra civiltà.

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