Armageddon Abruzzo (magari la prossima volta)

Di Emanuele Boffi
12 Marzo 2024
La stampa di sinistra aveva caricato il voto regionale di significati apocalittici: la rivincita delle forze del bene sulle forze del male. E invece
Il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, confermato dopo il voto, festeggia la rielezione a Pescara, 11 marzo 2024 (Ansa)
Il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, confermato dopo il voto, festeggia la rielezione a Pescara, 11 marzo 2024 (Ansa)

Chissà se fra vent’anni qualcuno troverà il coraggio di girare una Italian Fiction che, come il brillante film statunitense, metterà alla berlina le certezze con cui la sinistra ama rappresentarsi sempre e comunque dalla parte giusta della storia.

Abruzzo Ohio d’Italia”, “cambia il vento”, “scossa al fortino meloniano”, “la destra in crisi”, “Marsilio presidente pendolare”, “il governatore Zelig”. Per settimane – dopo il successo in Sardegna – la stampa di sinistra ha raccontato di una sfida alla pari e, addirittura, di un vantaggio dello sfidante Luciano D’Amico sul governatore Marco Marsilio. D’Amico, a capo di un “campo larghissimo” laboratorio della futura coalizione da Fratoianni a Renzi, è stato presentato come una sorta di Nelson Mandela, quasi un re taumaturgo, un prestigiatore in grado di tenere insieme gli opposti. Un «plasmatore di futuro», come lo ha definito Elly Schlein.

Ancora ieri, a risultato ormai acquisito, sul Fatto quotidiano si trovavano articoli nei quali si riportavano le impressioni dei dirigenti Pd durante la giornata del voto: «Diamine, cinque punti in più nelle sezioni del centro storico è il segno inequivocabile del movimento che c’è, della simpatia che trascina verso Luciano D’Amico».

La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, e il presidente, Stefano Bonaccini, in un comizio a Pescara, 7 marzo 2024 (Ansa)
La segretaria del Pd, Elly Schlein, il presidente Stefano Bonaccini e il candidato in Abruzzo Luciano D’Amico, Pescara, 7 marzo 2024 (Ansa)

La presa dell’Aquila

E invece. Invece è andata in maniera molto diversa da come ce l’avevano dipinta. Basta dare un occhio alle analisi del giorno dopo per accorgersi di quanta distanza sia incorsa tra i wishful thinking della sinistra e la realtà. I voti del centrodestra, nonostante una maggiore astensione, sono aumentati, a differenza di quelli del campo largissimo.

Come si spiega un tale annebbiamento di giudizio? Il giorno del voto, il politologo Giovanni Orsina aveva provato a spiegarlo ai lettori della Stampa, mettendoli in guardia dal caricare di significati apocalittici il voto in Abruzzo: «Vediamo oggi come va e diamo al risultato che verrà, quale che sia, la giusta importanza. Ma evitiamo di trasformare l’Aquila del 10 marzo 2024 nella Parigi del 14 luglio 1789».

Le forze del bene e quelle del male

Il consiglio, ovviamente, non era stato ascoltato, anzi. La conquista della Regione era stata illustrata non come una semplice presa della Bastiglia, ma come la rivincita delle forze del bene su quella del male. Letteralmente. Domenica 10 marzo su Repubblica Antonio Scurati aveva scritto un “articolo Armageddon” presentando il voto regionale come uno scontro tra le forze del buio e quelle della luce, le milizie della speranza opposte a quelle della paura, la battaglia finale tra gli alfieri del bene contro gli orchi del male.

«I reazionari (oggi rappresentati dalle destre sovraniste) conquistano i consensi alimentando la paura, dipingendo il futuro come un brutto posto, esasperando le minacce di un mondo grande e terribile, farneticando di ritorni a un passato mitizzato (la Russia imperiale di Putin, l’America “great again” di Trump, le nostalgie fascistoidi nostrane); prima inoculano nell’elettore il tremore della preda e poi aizzandolo a divenire predatore».

Al contrario, i progressisti erano dipinti come coloro che, «da due secoli a questa parte», rinnovano la promessa che

«la vita dei tuoi figli sarà migliore della tua, e quella dei tuoi nipoti migliore della vita dei tuoi figli; se tutti insieme ci solleveremo all’altezza delle nostre speranze, il futuro riscatterà le ingiustizie, le sofferenze, le delusioni del presente».

Fatte queste premesse, risultava inevitabile l’appello finale:

«E, allora, coraggio, donne e uomini che vi candidate a risollevare dalla polvere la bandiera progressista. Dateci una concreta, non effimera speranza per il mondo a venire. E vi seguiremo».

Scomparso il comunismo è rimasto il mito del sol dell’avvenire. Chissà se fra vent’anni, quando arriverà nelle sale Italian fiction, finalmente la sinistra avrà smesso di trattare la religione secondo categorie politiche e la politica secondo categorie religiose. A quel punto, magari, qualche pronostico potrebbe pure azzeccarlo.

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