
Terra di nessuno
Gli occhi degli alpini. I soldati di ieri e di oggi
6 luglio, Cinque Torri, Cortina. La sera quando la seggiovia si ferma e gli ultimi turisti se ne vanno, al rifugio Scoiattoli cala il silenzio. Solo gli squittii delle marmotte, e il sommesso brusio del generatore. In alto, il rifugio Nuvolau abbarbicato sulla roccia come un nido di corvi. Dietro, in cima al Lagazuoi, le luci della funivia. Il resto è notte, nera. Gli ultimi bagliori del tramonto disegnano contro il cielo le sagome bizzarre delle Cinque Torri, sorelle streghe. Le trincee della Grande Guerra sono deserte. Ai tavoli del rifugio il Blauerburgunder rosso come il sangue scalda il cuore.
Si apre la porta. “Mamma, sono entrati due soldati”, dice tua figlia. Getti alle spalle un’occhiata distratta. Che strana divisa. Non capisci di quale corpo di esercito. Ma ne arrivano altri, dieci, venti. Ora li guardi sbalordita. Parlano in tedesco. Hanno il fucile in spalla. “Signora, sono comparse, girano un film sulla guerra qui alle Cinque Torri”, spiega ridendo la cameriera.
Quella divisa grigioverde è degli Alpenkorps, truppe da montagna dell’esercito austroungarico. ( In verità qui alle Cinque Torri stavano gli italiani, e il nemico bombardava, mi pare, dal Sass de Stria; ma poco importa, questi ragazzi sono di qui, e hanno le stesse facce dei loro bisnonni contadini mandati a morte nella neve, sotto al fumo acre dell’artiglieria).
E mentre dei fari illuminano le trincee qui sotto, gli Alpenkorps col cellulare chiamano la ragazza, a casa. C’è un piccolo esercito ora davanti al rifugio; camminano goffi negli stivali rigidi, manovrano maldestri il fucile finto. Ridono fra loro.
Nel riverbero di luce pallida che dal set rischiara le Torri come in un plenilunio li osservi, sulla terrazza del rifugio. Perfetti nella divisa, nel berretto, nei baffi con la foggia del primo Novecento. Identici ai veri soldati, nelle foto in bianco e nero dei libri di storia – quelle con i cannoni e i muli carichi spinti su a bestemmie per le sterrate ghiacciate. Eppure, qualcosa li rende radicalmente diversi. Cosa? Continui a chiedertelo, lo sguardo assorto nel rosso sangue del Blauerburgunder nel calice.
Ora, si gira. Si allontanano verso il set le comparse, le loro ombre con il fucile in spalla per un momento come fantasmi dell’esercito che fu. Dalle trincee echi di voci smorzate; poi, nel rifugio si va a dormire. All’alba davanti alle Cinque Torri non c’è più nessuno. Scomparsi gli Alpenkorps, proprio come fantasmi. (O forse, hai sognato?)
Ma in cosa, esattamente, non ti sembravano veri? Uguali in ogni particolare, eppure. Alla stazione della seggiovia l’indomani guardi le foto d’epoca seppiate. Gli occhi, ecco, gli occhi. Quei là del 1915 avevano gli occhi di chi sa che può morire questa notte; e la nostalgia di casa, della madre, della fidanzata, così irrimediabilmente lontane. Quei là avevano sulla faccia la paura, e una speranza tesa come una preghiera – anche quelli che bestemmiavano spingendo su a legnate i muli. Quei là, ragazzi uguali ai tuoi figli, che ora dormono a migliaia nei Sacrari delle Dolomiti. Austriaci, italiani? Tutti come i tuoi figli; morti a vent’anni per una linea di frontiera. (A Prato Drava, tra la Val Pusteria e l’Austria, oggi nemmeno un cartello segna più il confine).
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GRAZIE A MARINA CORRADI PER AVERCI RICORDATO DEI TANTI RAGAZZI EUROPEI MORTI NELLA GRANDE GUERRA, PER UNA LINEA DI FRONTIERA APPUNTO.