Shin Dong-hyuk, nato in gulag e fuggito dall’inferno nordcoreano

Di Francesco Amicone
11 Luglio 2012
«Cresciuto in un mondo dominato dai più bassi istinti di sopravvivenza, senza conoscere mai né la libertà, né i sentimenti umani»: è [link url=https://www.tempi.it/io-nato-in-un-gulag-in-corea-del-nord-non-saro-mai-felice#axzz20IkO8EqP]Shin Dong-hyuk[/link], unico esule nato in un gulag nordcoreano.

Shin Dong-hyuk (di cui Tempi ha raccontato l’incredibile storia) è nato in uno dei peggiori gulag del regime nordcoreano, il Campo 14. La sua colpa, e quella della sua famiglia rinchiusa con lui, scrive Riccardo Michelucci sull’Avvenire di oggi, è aver avuto dei disertori fra i parenti. «Cresciuto in un mondo dominato dai più bassi istinti di sopravvivenza, senza conoscere mai né la libertà, né i più elementari sentimenti umani», Shin sarebbe ancora un prigioniero se il 2 gennaio 2005, nonostante la malnutrizione e le deformazioni fisiche causate dal lavoro forzato e dalle torture, non fosse riuscito a eludere la sorveglianza, scavalcare la recinzione del gulag sopravvivendo all’alta tensione e a scappare in Occidente. Una fuga miracolosa «per cominciare finalmente a vivere, nel vero senso della parola», quella che, intervistato da Michelucci, racconta Blaine Harden, giornalista del Washington Post e autore del libro Escape from Camp 14: One Man’s Remarkable Odyssey from North Korea to Freedom in the West.

Shin è diverso dagli altri sopravvissuti ai gulag nordocoreani, spiega Harden a Michelucci, «perché in quel campo ci è nato e cresciuto». Per ventitre anni della sua vita non ha conosciuto altro che la realtà del Campo 14, uno dei tanti gulag nordcoreani dove sarebbero rinchiuse centinaia di migliaia di persone. Shin, prosegue Harden, soltanto adesso sta cominciando a conoscere e provare delle emozioni, «prima non sapeva neanche cosa fossero». Amore, fiducia, sentimenti che noi diamo per scontati, non lo sono per chi ha sempre vissuto «in un girone infernale di lavori forzati, privazioni, torture».

A quattro anni, Shin ha assistito alla prima esecuzione, a quattordici vide giustiziati sua madre e suo fratello, mandati alla forca per un tentativo di fuga. «È uscito dal campo solo fisicamente, non ancora psicologicamente, e continua a fare i conti con il suo tremendo passato». Ci ha messo un anno prima di confessare a Harden di essere stato lui a denunciare la madre e il fratello, per salvarsi la vita.

Adesso Shin ha ventinove anni e vive a Seul, in Corea del sud, dove lavora nell’ambito dei diritti umani e intervista altri sopravvissuti come lui. Non aveva mai sentito parlare di Dio, prima di fuggire dal Campo 14, e ora ha «trovato conforto» nel cristianesimo.

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4 commenti

  1. Ale

    E’ crollata l’Urss e crollerà anche la Corea del Nord. La preghiera cambia il corso della storia.

  2. ragnar

    Tutta sta mania di “liberalismo” di Kim Jong-Un non mi stupisce ne’ mi illude. Sapevo gia’ prima e so anche adesso che in Nord Corea la situazione e’ sempre quella e tale rimarra’ fintanto che ci sara’ la dinastia Kim al trono.
    Il popolo e’ diviso in 53 categorie a seconda della lealta’ vera o presunta al regime e dei precedenti familiari.
    Appartenere a una categoria e’ tutto: da quello dipende l’accesso al cibo (32 % della popolazione nordcoreana soffre la fame), accesso ai servizi sanitari, poter possedere una casa, accesso a veicoli e carburante (riservati solo all’elite e a pochi intimi), accesso all’istruzione di alto livello (potete immaginare QUANTI abbiano la possibilita’ di studiare le lingue straniere) e quant’altro.
    Nei lager ci finisce:

    a) chi tenta di espatriare (sempre che non sia fucilato in pubblico, cosa che peraltro gli auguro pur di non vederlo finire in quell’inferno)

    b) chi non e’ leale (realmente o presumibilmente) al regime (infatti nei lager una grossa parte della giornata va via in imparare a memoria parole, discorsi e imprese della dinastia Kim e i suoi membri)

    c) chi ha un background familiare non gradito al regime

    d) chiunque sia sospettato di essere un cristiano (protestanti soprattutto, in quanto visti piu’ legati agli USA) o appertenente a un altro credo non gradito al regime (infatti l’unica religione ammessa in Nord Corea e’ la venerazione dei membri della famiglia Kim)

    e) chiunque sia sospettato di elogi per un paese straniero (soprattutto Sud Corea, Giappone e occidente in generale)

    f) chiunque non appartenente alle categorie suesposte dunque non imputabile almeno in prima istanza abbia la sfortuna che il paese stia attraversando un momento di crisi (cosa che e’ permanente in Nord Corea) e che quindi sia spedito in un lager in quanto il paese ha bisogno di manodopera gratuita

    Le autorita’ nordcoreane controllano la vita di ciascun individuo in maniera iperdettagliata tramite reports giornalieri forniti da delatori qua e la’ sparsi in tutti gli ambienti (se nell’URSS di Stalin i delatori erano circa il 30 % della popolazione, non mi stupisce che in Nord Corea possano essere tra il 30 e il 40 %).
    Peraltro non si puo’ neanche rinunciare a diventare dei delatori, perche’ un rifiuto equivale a essere spedito in un lager come traditore della patria.
    Kim Jong-Un non ha alcun motivo per rendere meno rigido il regime.
    Non c’e’ pericolo che si scateni una rivoluzione (il popolo e’ affamato e ancor piu’ indebolito da delatori e possibili condanne ai lager: e’ una lotta impari), gli alti ufficiali dell’esercito (categoria intoccabile) sono serviti e riveriti (mentre i soldati semplici sono solo un gradino piu’ in alto del popolo comune), la famiglia Kim e la sua cerchia vivono meglio di qualunque sovrano sulla terra (sono anche venerati come dei).
    Mi spiegate come sia possibile cambiare un regime cosi’ o credere a un possibile cambiamento, a meno che qualcuno riesca a buttare una bomba sul palazzo del governo di Pyeongyang e far fuori l’intera elite?

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