
«La transizione ecologica è ferma». È ora di cambiare agenda

«C’è una transizione in corso, ma non è più verde». La conclusione dell’articolo di Virginia Della Sala sul Fatto di ieri è probabilmente un po’ troppo tranchant, ma coglie un punto che con il passare dei mesi è sempre più chiaro a politica, burocrazie e imprese: la transizione ecologica, così come è stata pensata e imposta, non è sostenibile.
«Non ho ancora visto una transizione “giusta”», diceva Chicco Testa a Tempi qualche settimana fa, «accelerare troppo può portare più problemi che vantaggi, non possiamo buttare tutto quello a cui siamo arrivati in cento anni», dice sul numero di Tempi in uscita in questi giorni Roberto Sancinelli, presidente di Montello S.p.a., azienda leader in Italia nel riciclo dei rifiuti (non uno sporco petroliere, insomma). È di pochi giorni fa la notizia che la storica azienda di giocattoli danese Lego continuerà a fare i suoi mattoncini in plastica e non – come annunciato due anni fa – con materiale riciclato e non proveniente dal petrolio, perché quest’ultimo produce troppa CO2.
«La transizione ecologica è ferma»
«La transizione ecologica europea è ferma», denuncia ancora il Fatto, accusando Germania, Francia, Svezia e Regno Unito di avere approvato misure che rallentano il passaggio alle rinnovabili e all’elettrico. La scorsa settimana un think tank ingese si è preso la briga di calcolare quanto costerà il raggiungimento delle emissioni zero in Gran Bretagna entro il 2050: quasi 5 triliardi di sterline, 6mila e rotti pounds a famiglia in più all’anno per i prossimi 27 anni. Ne vale la pena?
Negli ultimi anni la realtà si è fatta sotto – complice la guerra in Ucraina e il fatto che la gente si è accorta che attorno al green c’è tanta retorica, poche certezze e molte tasse – e qualcuno comincia a prendere in considerazione le conseguenze economiche e sociali della transizione rigidamente imposta dall’Europa a trazione Timmermans, l’Attila al contrario. «Nonostante la generale condivisione dell’obiettivo», ha scritto su Domani Alessandro Penati in un articolo intitolato “La transizione ecologica frena”, «le azioni dei governi e degli investitori sono troppo spesso inefficaci, o addirittura controproducenti».
«La fine del mese arriva prima della fine del mondo»
Costosa e aleatoria – è ben poco scientifico sostenere che se tagliamo le emissioni di CO2 oggi, nel 2050 ci saranno ghiacciai più estesi e meno bombe d’acqua – la transizione ha bisogno di un’agenda realista che tenga conto del progresso scientifico, della capacità dell’uomo di adattarsi ai cambiamenti climatici e dell’ammissione che no, non è vero che se non “agiamo subito” moriremo tutti nel giro di qualche anno per colpa del clima. «La fine del mese arriva prima della fine del mondo», sintetizzava ieri l’Identità, giornale diretto da Tommaso Cerno, con un titolo efficace. «Il mantra green ci svuota le tasche», spiegava un altro articolo che metteva in fila le scete ambientalmente corrette ma economicamente insostenibili dell’Europa: casa green, auto elettrica, ripristino della natura.
«Io per ora ho visto solo transizioni dolorose per i consumatori e per il debito dello Stato», diceva ancora Testa a Tempi. Eppure c’è chi chiede di schiacciare proprio l’acceleratore del debito, come il già citato Penati su Domani: «Il vero proboema della transizione ambientale è che nella percezione dell’opinione pubblica sia un’opzione senza costi, quando in realtà sono ingenti. Per questo serve un massiccio intervento pubblico, finanziato col debito: le future generazioni dovranno sopportare il peso del maggior debito ereditato, ma in cambio di un ambiente sostenibile». Sulla stessa barca (a remi, probabilmente) di Penati c’è Giuliano Garavini, che sul Fatto chiede «scelte assai più radicali di quelle del Green Deal per “elettrificare” rapidamente il sistema energetico», e aggiunge che «investimenti in rinnovabili e reti elettriche hanno bisogno di diretta partecipazione statale e di pianificazione». Se si vuole far fallire la transizione, la strada è indubbiamente quella.
L’occasione dei governi di centrodestra sulla transizione
Governi e partiti di centrodestra europei hanno un’occasione grandiosa per provare a pensare e proporre un’agenda alternativa a quella catastrofista, smarcandosi dal dogmatismo straccione che guarda tutto con sospetto e si accontenta di dire che “in estate ha sempre fatto caldo”. La sinistra è ancora imbrigliata nell’ambientalismo duro e puro che non si preoccupa delle conseguenze sociali.
Ha scritto ieri sul Foglio Claudio Cerasa: «Chi sarà, a sinistra, il primo grande leader a riconoscere che la transizione non può essere ideologica? Chi sarà, a sinistra, il primo grande leader a riconoscere che la vera spinta all’elettrico dovrà arrivare non a colpi di incentivi di stato ma a colpi di innovazioni tecnologiche che dovranno rendere l’uso dell’elettrico non più giusto ma più conveniente per i cittadini?». Come ha detto Sancinelli a Tempi, «i cambiamenti sono un’opportunità, vanno affrontati con pazienza, non con slogan lanciati per avere consenso politico e mediatico». È il momento giusto per farlo, ora che tutti vedono che il re verde della transizione è nudo.
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