
Sfortunata la sinistra che ha bisogno di eroi come Carola Rackete

Chissà se Bertolt Brecht quando ha scritto nel suo Galileo «sfortunato il Paese che ha bisogno di eroi», pensava alla santificazione cui stiamo assistendo da qualche anno a questa parte di Carola Rackete, intrepida capitana, traghettatrice di esistenze in fuga dalla miseria e spesso dalla guerra ed oggi fresca fresca candidata al Parlamento Europeo per la Linke, la sinistra estrema tedesca.
Novella eroina di una narrazione che, come spesso capita alla sinistra, preferisce curarsi poco della realtà dei fatti e vivere invece di beati proclami, altisonanti e fuffolosi ma di sicuro impatto sulla coscienza ormai tremebonda del cattivo uomo bianco europeo, ed occidentale in genere, incarnato antropologicamente da Matteo Salvini come ci tiene lei stessa a ribadire, ed erede malvagio del colonialismo e di qualunque male del mondo.
E visto che agli eroi, e alle eroine, specie se candidate al Parlamento Europeo, non si fanno mai mancare un microfono e un metaforico palcoscenico, specialmente in grami tempi di campagna elettorale e di destra al governo, ecco la Stampa che corre ad intervistare la front-woman dell’accoglienza a tutti i costi.
L’assurda intervista di Rackete alla Stampa
Se ho scomodato Brecht per l’apertura, vien però da dire che con l’intervista ci immergiamo in una sapida coltre di fantasia scatenata e di assurdo alla Ionesco, con una concatenazione di affermazioni che rappresentano davvero purissimo dadaismo elettorale e concettuale.
Inutile negare che dallo scontro feroce con l’allora ministro degli Interni Matteo Salvini, la Rackete abbia capitalizzato una discreta rendita di posizione di celebrità mediatica e si sia guadagnata un posto d’onore nel pantheon, abbastanza scarsino va detto, della sinistra contemporanea, sempre alla ricerca di qualche figura da elevare sul piedistallo dei modelli da seguire.
Quindi, anche se inanella una serie di dichiarazioni che definire sconcertanti sarebbe pure riduttivo, per la sinistra rimarrà comunque una nobile, purissima dama delle acque, disposta a salvare vite senza troppo curarsi delle conseguenze di ordine giudiziario.
Siamo quasi ad un passo dal renderla una incarnazione di Giovanna d’Arco e Antigone al tempo stesso, coraggiosa, intrepida, e soprattutto ben disposta a correre rischi per riaffermare un senso quasi cosmico e trascendente di giustizia, a discapito della gretta legalità.
Il vero umanitario non si preoccupa del destino di chi aiuta
Il pezzo forte della Rackete, l’expertise conquistato sul campo, è senza dubbio l’immigrazione. Lei stessa ormai incarna il volto delle politiche dell’immigrazione, del rispetto dei diritti umani e della accoglienza, capace di lottare e sconfiggere le autorità italiane, la Guardia Costiera, la Guardia di Finanza, l’empio Salvini-Creonte che assiso nelle viscere oscure del suo Ministero, come Sauron nel cuore occhiuto di Mordor, cercava di impedirle di giungere a destinazione.
Poco importa sapere cosa sia stato delle vite che ha traghettato e fatto sbarcare, avere contezza che quegli esseri umani non siano finiti a vivere per strada, in qualche inferno metropolitano di stazioni abbandonate o preda di qualche tratta, come quella della droga o della prostituzione: il vero umanitario, come ci insegna la sinistra, non perde tempo a interrogarsi sul destino degli esseri umani, ma si lancia e si batte per ideali ancora più alti, ancora più luminosi, perché non deve esserci nulla di umano in questo umanitarismo assoluto.
Quando Albinati disse: «Ho desiderato che morissero»
«Io ho pensato, ho desiderato che morisse qualcuno sulla nave Aquarius. Ho detto: adesso, se muore un bambino voglio vedere che cosa succede nel nostro governo», così parlò lo scrittore Edoardo Albinati. E nemmeno fact-checkers “indipendenti” e sbufalatori riuscirono a salvarlo, perché lo ha detto davvero. Corsero in blando suo soccorso in punta di distinguo, precisazioni, vero senso occulto del discorso, ricordandone il passato di grande attivista per i diritti umani, e solfa simile ma non riuscirono a negare quelle frasi. Anche se ad Albinati non accadde nulla.
Tutto fu dimenticato, si disse che era una provocazione, un pensiero estrapolato da un contesto più ampio, un espediente retorico. Lo avesse detto qualcuno a destra, altro che espediente retorico, lo stiamo vedendo con Giambruno a cui vengono messi in bocca e in testa pensieri che non ha espresso ma in questo caso amen, è colpevole a prescindere.
Albinati, no. Perché in fondo è uno scrittore, umanitario e di sinistra, e quindi ha ragione a prescindere. E può dire tutto quel che vuole, come la Rackete. Qualunque cosa dica la sta dicendo per il sole dell’avvenire. Summa, autentica, del vero pensiero della sinistra che nei morti in mare non vede un dramma ma solo metafisici e metaforici caduti utili per la propria lotta politica.
A domanda sui migranti Rackete ripete la solfa antifascista
E così, dall’alto olimpico di questa missione e dal cuore pulsante di una autentica battaglia di civiltà, alla fine vinta con lo sbarco e la assoluzione nelle aule di giustizia, Carola Rackete ha tutte le competenze necessarie per farsi legislatrice europea. Cosa dovrebbe fare l’Unione sui migranti? Le chiede speranzoso il giornalista della Stampa, certo di essere, con la pronta, acuta risposta della Rackete, colto dal raggio incandescente di una epifania.
«Non sono una esperta di policy sui migranti… non è mia competenza e non ho proposte concrete al riguardo». Questa è la sua risposta. Testuale. E forse rendendosi conto che magari è un po’ pochino, pur in questi grami tempi di politichetta insulsa e popolata di sagome di cartapesta, si lancia nel bonus retorico del rispetto dei diritti umani, perché gli orrori del nazifascismo mica possono essere dimenticati.
Cosa c’entrino i flussi di migranti e gli sbarchi con la Seconda Guerra Mondiale è chiaro soltanto alle sinapsi della sinistra per cui la accoglienza a qualunque costo è una forma di Resistenza-bis, un Maquis che si consuma con petizioni, titoli strillati e il processo a Salvini agognato come una sorta di Norimberga.
Lo spauracchio della destra emergente, al governo in sempre più Paesi, e la reductio ad Hitlerum dell’universo-mondo, sono argomenti sempre gettonati quando non si hanno idee o argomentazioni poco poco più profonde. Ma alla sinistra va bene così. Ottimo e abbondante.
Al Festival di Venezia Todaro è una Rackete barbuta
D’altronde sono riusciti, nella Venezia de-vannaccizzata come ci tiene a far sapere altro articolo della Stampa, e con buona pace della fondazione littoria di quel Festival cinematografico, a proporre un Salvatore Todaro, ufficiale italiano di Marina della Seconda Guerra Mondiale che fu pure nella X-Mas, in una versione barbuta antesignana di Carola Rackete. Comandante, pellicola approdata sul tappeto rosso, in ogni senso, del Lido, e che dobbiamo alla trimurti Favino-Veronesi-De Angelis, nei fatti trasforma il capitano di corvetta, brillante sommergibilista, in un capitano da ong, con un richiamo continuo alle leggi del mare.
Todaro si rese protagonista di un gesto assai nobile, come quello del salvataggio dell’equipaggio del piroscafo belga Kabalo, che il sommergibile di Todaro aveva affondato. Un episodio questo che valse all’ufficiale la gratitudine dei salvati ma la netta riprovazione dei suoi superiori e soprattutto del Comandante degli U-Boot germanici, ammiraglio Karl Dönitz. Il problema però è che gli stessi tedeschi, all’inizio della guerra sommergibilistica, una guerra invero già di suo difficilmente compatibile con le sempre evocate ‘leggi del mare’, si erano dati al salvataggio dei superstiti delle navi affondate, salvo poi nei mesi successivi dover recedere dai nobili propositi perché il salvataggio esponeva al pericolo di essere individuati e distrutti da navi e soprattutto aerei nemici.
Candidata alle Europee, lancia l’appello antifascista
Todaro con le ong e la Rackete, con buona pace di Veronesi, Favino e De Angelis non c’entra niente di niente. Todaro è stato un brillante, valente e coraggioso militare, la cui carriera è stata costellata di episodi cavallereschi e nobili e, del pari, di assalti, ardimento, distruzioni e uccisioni. La guerra, in fondo, quella è.
L’idea di trasformare, specie con le dichiarazioni del regista e dell’attore principale che corredano l’uscita della pellicola, una figura storica e una serie di avvenimenti che dovrebbero appunto essere storicizzati in una sorta di radice concettuale e fenomenologica dei salvataggi in mare operati dalle ong grida oggettivamente vendetta. Ma fa brodo. E tira la volata alla narrazione della Rackete candidata. La quale evoca una grande alleanza europea antifascista perché sennò dice ‘si sa dove si va a finire’. Intendendo il pericolo della costituzione di un qualche Quarto Reich.
Il delirio sul diritto d’aborto in pericolo in Italia
E dato che non le appare sufficiente la figura di Antigone, eccola avventurarsi anche in vaticini oracolari, vedendo addirittura limitazioni al diritto all’aborto in Italia. Quali in concreto siano queste limitazioni non è dato sapere ma se lo dice la Rackete intervistata dalla Stampa, sono certo che a sinistra si fideranno e anzi ritaglieranno l’intera intervista e la affiggeranno nelle sezioni di partito, o in ciò che ne rimane, al posto dei ritratti di Gramsci e Che Guevara.
Dall’alto del suo dichiaratamente inesistente expertise sulle politiche migratorie, la Rackete afferma che è profondamente sbagliato cooperare con la Tunisia, che è un regime tirannico, governato ci si immagina arrivati a questo punto da un Salvini tunisino. Cosa dovrebbe farsi però, a parte il non-fare su cui è sempre molto prodiga, non lo dice. Immagino che il sottotesto unico sia sempre quello dell’accogliere tutti, chiunque, chi se ne importa delle conseguenze di ordine pratico. Joseph de Maistre diceva che ogni nazione ha i governanti che si merita. Parafrasandolo, potremmo dire che ogni parte politica ha gli eroi e gli idoli che merita.
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