
Dodici anni dopo il disastro di Fukushima, i giapponesi rivogliono il nucleare

I giapponesi sono sempre più favorevoli al ripristino delle centrali nucleari a 12 anni dal devastante terremoto che colpì il paese l’11 marzo del 2011 provocando il disastro dell’impianto di Fukushima. A svelarlo è il quotidiano Asahi Shimbun, che si oppone alle nuove politiche sul nucleare del governo di Fumio Kishida.
In un sondaggio telefonico condotto tra il 18 e il 19 febbraio scorso dal popolare giornale giapponese è emerso che la maggioranza dei giapponesi sostiene il riavvio dei reattori per la prima volta dal 2011. Alla domanda sulla ripresa delle operazioni nelle centrali nucleari attualmente sospese il 51 per cento si è detto d’accordo, mentre il 42 per cento si è dichiarato apertamente contrario. Il paese è ancora spaccato i due in merito alla costruzione di nuovi reattori, punto centrale del piano del governo Kishida, con il 45 per cento degli intervistati favorevoli e il 46 per cento contrari.
Guerra in Ucraina
Pur restando divisa, la posizione del nucleare sta radicalmente cambiando, tanto che ormai molti commentatori nipponici parlano di una fine del movimento antinuclearista giapponese, seppur una fetta del Paese sia ancora restia a un ritorno in grande stile al passato. Dopo lo shock del 2011, nel primo sondaggio di questo tipo condotto dal popolare quotidiano nipponico nel 2013, solo il 30 per cento dei giapponesi era favorevole a un ritorno al nucleare. Nelle rilevazioni annuali le percentuali sono rimaste più o meno le stesse.
L’ultimo sondaggio condotto dall’Asahi Shimbun risale allo scorso anno, prima dell’invasione russa dell’Ucraina e dell’impennata dei prezzi del gas che hanno pesato molto sull’economia del Giappone. Nel 2022 solo il 38 per cento si è detto favorevole al nucleare, confermando l’andamento delle precedenti rilevazioni. Il dato di quest’anno mostra come la guerra in Ucraina e i timori per la sicurezza delle forniture energetiche abbia radicalmente mutato lo scenario nipponico sul nucleare.
Aumento dei prezzi
Ad accelerare questo processo non è stata solo l’azione di governo, che da tempo sta cercando di rilanciare il nucleare, ma la forte disparità del costo dell’energia elettrica nelle aree servite da impianti atomici rispetto a regioni, come la megalopoli di Tokyo, alimentate solo con centrali a gas e carbone.
Secondo una stima del quotidiano Nikkei, le regioni di Tokyo, Tohoku e Chubu le bollette sono più care di circa il 40 per cento rispetto a Kansai e Kyushu dove sono in funzione nove reattori riavviati in questi anni dal governo giapponese. A fine gennaio, sette società, tra cui Tokyo Electric Power Company Holdings (Tepco), hanno presentato domanda al ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria per aumenti di prezzo ulteriori dal 30 al 40 per cento circa annullando le misure messe in atto dall’esecutivo per ridurre il peso delle bollette sulle famiglie.
Come sottolineato dai media giapponesi, a causa dell’aumento dei prezzi della Tepco in estate, quando vi sarà il picco di domanda di energia elettrica a causa dell’utilizzo dei condizionatori, le bollette potrebbero costare nell’area metropolitana di Tokyo il 70 per cento in più rispetto alla regione di Kensai. Ai costi si aggiunge ovviamente l’impatto ambientale, altro motivo evocato dal governo Kishida che prosegue sul percorso tracciato nel 2021 dal premier Yoshihide Suga, il primo ad affermare che il Giappone avrebbe dovuto non solo ripristinare le centrali esistenti ma costruirne di nuove per rispettare gli impegni di neutralità climatica al 2050.
Una scelta obbligata
Quella del nucleare appare per il Giappone una scelta obbligata. Il paese asiatico membro del G7 è praticamente privo di risorse energetiche sul suo territorio e ad oggi importa il 90 per cento del suo fabbisogno energetico di cui l’88 per cento fossili, soprattutto gas e petrolio. Nel 2022 il Giappone ha importato 72 milioni di tonnellate di Gnl, primo importatore al mondo insieme alla Cina.
Ma il nucleare ha rappresentato nel passato il vero motore della crescita nipponica. Infatti, fino al disastro nucleare di Fukushima del 2011, il paese aveva beneficiato per decenni di energia a basso costo autoprodotta grazie al nucleare. Nel 1966, il Giappone avviò il suo il suo primo reattore commerciale che negli anni seguenti crebbero fino a raggiungere il numero di 54 che contribuivano a produrre il 30 per cento del fabbisogno energetico del paese.
A seguito del disastro della centrale di Fukushima, colpita dall’onda di tsunami generata dal terremoto di magnitudo 9.1 che devastò il Giappone orientale, l’allora governo guidato da Naoto Kan a spegnere tutti i reattori. Solo a partire dal 2015 alcuni impianti sono stati ripristinati e ad oggi sono stati allacciati alla rete dopo rigidissimi controlli e test un totale di nove reattori sui 33 attivi prima del disastro di Fukushima.
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