Crisi ucraina, le possibilità dell’Europa e dell’Italia di rimpiazzare il gas russo

Di Amedeo Lascaris
14 Marzo 2022
Senza un piano di sostituzione, le conseguenze sarebbero devastanti. Mappa per capire cosa si può fare (realisticamente) per ridurre la dipendenza

L’interruzione delle forniture di gas all’Europa e quindi all’Italia sta diventando scenario molto più realistico del previsto, con pochi sviluppi sul fronte negoziale tra Ucraina e Russia e il rischio di un ampliamento del conflitto tra la Nato e Mosca. Che sia il presidente russo Vladimir Putin a interrompere le forniture come ritorsione per le sanzioni contro la guerra in Ucraina, oppure la stessa Europa per aumentare la pressione su Mosca – prendendo esempio da Stati Uniti e Regno Unito – una tale mossa avrebbe conseguenze devastanti senza un piano per la loro sostituzione immediata. Prevedere cosa accadrà è impossibile, ma analizzare gli approvvigionamenti e le capacità potenziali dei gasdotti può essere di aiuto per comprendere le possibilità che ha l’Italia e in generale i Paesi europei, di ridurre nel breve periodo la dipendenza dal gas russo.

I Paesi dell’Ue generano circa un quarto della loro energia dal gas naturale che viene però impiegato anche per i riscaldamenti e nel settore industriale con una percentuale dipendenza stimata superiore all’80 per cento (83,5 per cento nel 2020 e 89,5 per cento nel 2021). Nel 2021 il consumo di gas dei Paesi europei si è attestato intorno a 552 miliardi di metri cubi (Bcm), in aumento di circa il 5,5 per cento rispetto al 2020, anno della pandemia.

Fabbisogno europeo

Nel 2020 la percentuale di gas russo sul fabbisogno europeo si è attestata al 43,44 per cento, mentre nel primo trimestre del 2021, tale percentuale è salita al 47 per cento. In Europa i Paesi maggiormente dipendenti dal gas russo, sono anzitutto le Repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania), Bulgaria, Finlandia, Slovacchia e Slovenia che importano da Mosca circa il 90 per cento del proprio fabbisogno di gas. Italia e Germania che importano rispettivamente il 40 per cento e il 50 per cento di gas dalla Russia, il prezioso idrocarburo pesa sul proprio mix energetico per circa il 40 per cento. Nel 2021 l’Italia ha consumato circa 76,118 miliardi di metri cubi di gas e di questi circa 29 miliardi sono stati importati dalla Russia, con una quota del 39 per cento sulle importazioni totali (72,728 miliardi di metri cubi).

Bratstvo

Il gas russo fluisce in Italia soprattutto attraverso il gasdotto Bratstvo che parte dai giacimenti della Siberia nell’area di Nadym. Le condotte attraversano l’Ucraina da est a ovest e si connettono al gasdotto Transgas in Slovacchia, poi al Tag in Austria e infine si allacciano alla rete nazionale all’altezza del passo del Tarvisio.

Nel suo complesso il Bratstvo ha una capacità di 146 miliardi di metri cubi, ma da anni, a causa della crisi tra con l’Ucraina del 2014 e di problemi tecnici dovuti all’età del sistema, il colosso russo Gazprom ha ridotto il flusso di gas nelle condotte di circa il 50 per cento, puntando sui gasdotti come il Nord Stream 1.

Transmed

Il secondo fornitore dell’Italia è l’Algeria – che rifornisce anche la Spagna – con una quota del 28,4 per cento nel 2021 per un totale stimato di circa 21 miliardi di metri cubi. Il gas algerino che giunge in Sicilia a Mazara del Vallo tramite il famoso gasdotto Transmed, intitolato a Enrico Mattei, realizzato tra il 1978 e il 1983 che ha la sua origine dal grande giacimento di Hassi R’Mel, il 18mo al mondo per riserve di gas (nella provincia desertica di Laghouat.

Il gasdotto attraversa l’Algeria per 550 chilometri fino al confine con la Tunisia dove prosegue per 370 chilometri giungendo alla penisola di Capo Bon e attraverso il Mar Mediterraneo giunge fino alla Sicilia nei pressi di Mazara del Vallo. La condotta attraversa anche il territorio italiano giungendo fino a Minerbio (Bologna).

Il Transmed ha una capacità massima di 30,2 miliardi di metri cubi, consentendo in parte di ridurre la percentuale di gas importato dalla Russia.

Greenstream

Altro gasdotto regionale, in questi anni sottoutilizzato a causa della guerra, è il Greenstream che collega i giacimenti della Libia alle coste siciliane con la porta di ingresso al sistema nazionale a Gela. Inaugurato nel 2004 e realizzato dalla Saipem e di proprietà di una joint venture tra l’Italia Eni e la libica National Oil Corporation, il gasdotto ha rappresentato una delle principali fonti di diversificazione dal gas russo. Lungo circa 550 chilometri, il gasdotto convoglia il gas di tre giacimenti: due offshore, rispettivamente Bahr Essalam e Bouri Field al largo delle coste libiche, e uno onshore, il giacimento di Wafa  situato nella parte centro occidentale della Libia, a circa 550 chilometri a sud ovest di Tripoli, nella vasta zona desertica vicino al confine con l’Algeria.

Nonostante il Greenstream abbia una capacità di circa 10 miliardi di metri cubi all’anno, a seguito della persistente crisi libica in corso dal 2011, i volumi di rifornimento sono stati molto altalenanti con una quota che si è ridotta negli anni. Nel 2021 dal Greenstream sono giunti appena 3,231 miliardi di metri cubi, una percentuale di appena il 4,2 per cento a fronte di un potenziale 13 per cento sul totale consumato nel 2021.

Transitgas

Altro punto di approvvigionamento tramite gasdotto è il Transitgas che collega l’Italia tramite la Svizzera al sistema di condotte che trasportano il gas prodotto nel Nord Europa, soprattutto dalla Norvegia, con la porta di ingresso al Passo Gries, in Piemonte. Il gasdotto è ampiamente sottoutilizzato a causa della progressiva dismissione dei giacimenti olandesi e dell’esaurimento dei giacimenti maturi del Mare del Nord, ma il suo potenziale si aggira intorno ai 35 miliardi di metri cubi all’anno.

La quota di gas importata dall’Italia dal nord Europa è scesa di molto negli anni e oggi contribuisce per circa il 2,4 per cento sul totale del fabbisogno (1,82 miliardi di metri cubi nel 2021). La Norvegia è guardata dai Paesi dell’Unione Europea come un possibile fornitore alternativo rispetto alla Russia, ma a detta dello stesso premier norvegese, Jonas Gahr Stoere, le società energetiche stanno producendo già a pieno regime, con 113 miliardi di metri cubi esportati verso i Paesi europei nel 2021.

Il Tap

L’Italia vanta anche un’altra importante arteria per le sue importazioni di gas: il tanto osteggiato gasdotto trans adriatico noto con l’acronimo Tap che trasporta l’oro blu dal giacimento azero di Shah Deniz, sul Mar Caspio. Inaugurato con sommo ritardo nel 2020 (il progetto era stato proposto nel 2003 quasi in contemporanea con il Greenstream libico), il Tap prende il suo gas tramite il gasdotto del Caucaso meridionale e il gasdotto transanatolico (Tanap).

Il tubo passa per la Grecia e l’Albania, si inabissa per un piccolo tratto nel Mare Adriatico e giunge infine a Melendugno in Puglia dove si collega alla rete che attraversa tutta la penisola. Nel 2021, grazie al Tap, l’Italia ha importato circa 7,5 miliardi di metri cubi, pari a circa il 10 per cento delle importazioni totali. Attualmente la capacità del Tap si aggira intorno ai 10 miliardi di metri cubi l’anno, ma è progettato per una potenziale espansione a 20 miliardi di metri cubi.

Gas naturale liquefatto

In Europa per sostituire nell’immediato la dipendenza dalla Russia si sta guardando da anni al gas naturale liquefatto trasportato tramite metaniere e che vede tra i maggiori esportatori Stati Uniti, Qatar e Australia. Secondo dati della Commissione Europea, le importazioni di Gnl nell’Ue hanno raggiunto i 10 miliardi di metri cubi a gennaio, la quantità più alta di sempre, e le cifre provvisorie indicano che i volumi sono rimasti elevati a febbraio. In base a un recente rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia (Aiea), nel 2020, le importazioni di Gnl hanno rappresentato il 26 per cento sul totale del fabbisogno dell’Ue.

In Italia sono attivi tre terminal Gnl: Panigaglia (La Spezia) che ha una capacità di rigassificazione di circa 3,5 miliardi di metri cubi l’anno; Adriatic Lng con una capacità di 8 miliardi di metri cubi l’anno; il terminal galleggiante Fsru Toscana situato a circa 22 chilometri al largo delle coste tra Livorno e Pisa con una capacità di rigassificazione autorizzata di circa 3,75 miliardi di metri cubi. I terminal sono utilizzati attualmente al di sotto della loro capacità potenziale, a causa del maggiore costo di importazione del Gnl rispetto al gas naturale standard, ma anche per ragioni tecniche: le piattaforme di Livorno e Panigaglia possono ricevere navi di dimensioni medio-piccole.

Nel 2021 l’Italia ha importato 9,8 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto, circa il 64,4 per cento della capacità di rigassificazione totale per una quota sul fabbisogno 2021 del 12,9 per cento. Per quanto riguarda le provenienze, il Gnl italiano giunge per il 75,3 per cento dal Qatar; 11,8 per cento dall’Algeria; 6,1 per cento dagli Stati Uniti; 3,5 per cento dalla Nigeria; 1,8 per cento da Trinidad e Tobago; 1 per cento dalla Spagna.

Pozzi e riserve

Uno dei grandi interrogativi riguarda la produzione di gas naturale, diminuita drasticamente dal negli ultimi 20 anni, sia per ragioni tecniche (esaurimento dei giacimenti) sia politiche (riduzione delle estrazioni e blocco di nuove esplorazioni). Dal 2000 a oggi la produzione è passata da 16,8 miliardi di metri cubi a 3,34 miliardi nel 2021 contribuendo a soddisfare solo il 4,3 per cento del fabbisogno totale di gas dello scorso anno.

Uno degli obiettivi di breve periodo è il raddoppio della produzione di gas. Tuttavia, per poter aumentare considerevolmente la produzione nazionale sarebbe necessario sviluppare i pozzi esistenti – 1.298 di cui solamente 514 eroganti – e attivarne di nuovi a fronte di riserve stimate concentrate soprattutto nel Mare Adriatico tra i 200 e i 300 miliardi di metri cubi.

Eastmed-Poseidon

La necessità di velocizzare lo sviluppo immediato di nuovi punti di approvvigionamento sta portando inoltre in auge progetti che erano stati congelati a causa di problemi geopolitici e alti costi, come il gasdotto Eastmed-Poseidon, appoggiato dall’amministrazione Usa di Donald Trump, e destinato a trasferire gas naturale dai giacimenti israeliani all’Europa attraverso Cipro e la Grecia.

L’accordo per la realizzazione del gasdotto è stato firmato il 2 gennaio 2020 ad Atene dai leader di Grecia, Cipro e Israele, un’alleanza dei Paesi del Mediterraneo orientale mirata a sfruttare le risorse di idrocarburi, ma anche a tagliare fuori la Turchia e ad arginare le sue mire egemoniche nella regione. Ankara difende infatti i diritti di sfruttamento di Cipro Nord (la autoproclamata repubblica turco cipriota riconosciuta solamente dal governo turco) e ha contrastato le esplorazioni nella regione, avviando proprie prospezioni in acque contese con la Grecia. Proprio il fattore geopolitico e il mancato appoggio della nuova amministrazione statunitense di Joe Biden hanno portato al suo temporaneo stop.

Divisioni regionali

Lungo circa 1.900 chilometri e con condotte posate fino a 3.000 metri di profondità nel Mar Mediterraneo, dovrebbe collegare direttamente i giacimenti di gas del Mediterraneo orientale alla Grecia continentale attraverso Cipro e Creta, connettendosi con i gasdotti Poseidon e IGB (Interconnettore Grecia-Bulgaria) trasportando il gas in Italia e alla rete di gasdotti europei. Il gasdotto, che potrebbe essere pronto in circa quattro-cinque anni è progettato per avere una capacità di circa 10 miliardi di metri cubi all’anno e aprirebbe una nuova rotta per le forniture con potenziale collegamento in futuro con i vasti giacimenti egiziani al momento utilizzati per il fabbisogno interno.

Nel portare nuovamente gli sguardi verso un progetto che ha provocato forti divisioni regionali ha contribuito anche la storica visita in Turchia, avvenuta il 9 marzo, del presidente israeliano Isaac Herzog per rilanciare le relazioni anche alla luce del mutato scenario internazionale. L’ultimo viaggio di un leader israeliano in Turchia risaliva al 2008 con la missione dell’allora premier Ehud Olmert.

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