
Capuozzo: «Mi sorprende la foga di armare gli ucraini. Urgente è la tregua, non schierarsi»

Neutralità, smilitarizzazione dell’Ucraina, riconoscimento della sovranità russa in Crimea e delle repubbliche del Donbass: di ritorno dai Balcani per raccontare quel che resta di una guerra combattuta trent’anni fa, Toni Capuozzo non chiamerà mai quelle imposte dai russi per il cessate il fuoco condizioni di “pace”: «Una cosa è la pace, altra una tregua. Che significa accordi, cessate il fuoco immediatamente, obiettivi realistici. Il terreno per negoziare c’è, l’urgenza morale per farlo anche».
«Negoziare è salvare più vite possibile»
La prosecuzione dei negoziati in Ucraina, col presidente Zelensky pronto al “dialogo” su Crimea e Donbass, fa ben sperare. Sperare che, come ribadisce a Tempi lo storico inviato di guerra, «salvare più vite possibili, allontanando lo spettro di un assalto a Kiev e ad altre grandi città, sia l’obiettivo della delegazione ucraina. E che Putin trovi nel negoziato un’alternativa valida al rischiare i suoi uomini negli assalti. In questo momento è importante capire chi ha il coltello dalla parte del manico». Se da un lato ci sono le 12 mila perdite russe denunciate da Kiev, il mantra delle sanzioni, il moltiplicarsi del dissenso interno in Russia, dall’altro i continui appelli di Zelensky all’invio di armi, alla no fly zone, i riferimenti alla terza guerra mondiale, ci restituiscono un quadro della Russia di Putin e della resistenza di Zelensky opposto e diverso. Ma negoziare resta la priorità. Perché ogni giorno di trattativa perso sono centinaia di vite civili perse, vive o morte, «sono cadaveri a terra di anziani, donne e bambini. Ma anche anziani, donne e bambini che arrancano, scappano, piangono, che avranno la vita salva, ma segnata per sempre».
«L’Occidente sfrutta l’illusione dell’Ucraina»
Dalla Bosnia, Capuozzo ha seguito le immagini della guerra, sorpreso dallo sfruttamento dell’Occidente di ciò che al fondo muove la resistenza ucraina e il suo presidente: «L’illusione. Gli ucraini stanno opponendo una nobile e orgogliosa resistenza ai russi dopo aver vissuto la guerra sporca del Donbass: una guerra combattuta contro dei secessionisti e senza guanti bianchi, fatta di vendette, simile a una faida. Altra cosa è affrontare carri armati, missili e artiglierie, e non mi sembra che fino adesso Putin abbia dispiegato il suo potere distruttivo. Io credo nel diritto all’autodifesa, il diritto di difendersi di chi è aggredito. Ma qui vedo tanta illusione». Non lo sorprende, scriveva dalla Bosnia, un popolo che combatte contro l’aggressore, un leader che riscuote successo in barba sfatta e maglietta da combattente. Lo sorprende un leader osannato perché pronto ad accompagnare il suo popolo al massacro («un grande leader, per me, non è chi è pronto a morire. Questo dovrebbe essere il minimo sindacale. Un grande leader è quello che accompagna il suo popolo nella traversata del deserto, lo salva») e tra gli applausi di un Occidente capace di rispolverare termini quali patria, nazionalismo, eroismo armato.
«Non uccido in nome della bandiera italiana»
Tutti abbiamo visto i titoli e le paginate dedicate a chi si arma, kalashnikov in mano “per amore dei figli” e per “uccidere i russi come cani”, «e non si può che solidarizzare con chi difende casa e bambini, ma in questa narrazione enfatica mi pare ci sia una buona dose di nazionalismo che non mi appartiene. Avrei combattuto contro il nazifascismo? Probabilmente sì, a suo tempo. Ho studiato la storia d’Italia, del Risorgimento, con rispetto di ogni uomo che ha dato la sua vita per la patria e il territorio. Ma so anche che erano uomini che appartenevano a un altro tempo, un altro modo di vivere i confini. Io oggi vivo il tempo in cui si restituisce onore e si edificano monumenti ai disertori, so che la difesa del suolo patrio appartiene ad altre generazioni. Per questo mi sorprende la foga dell’Occidente a spingere, armare e alla fine illudere gli ucraini. Io in nome della bandiera italiana non ammazzerei nessuno. Lo abbraccerei, lo farei ragionare. Ma non ucciderei in nome di una bandiera, in nome di un confine. Non c’è nulla che valga la vita di un altro».
«La democrazia non la imponi»
Capuozzo – una vita in guerra, il ricordo di Grozny, Aleppo, dei bombardamenti aerei negli occhi, una vita in una guerra che non abbiamo ancora visto, e di cui non immaginiamo nulla, nonostante il bombardamento h24 di immagini sui social dello stesso grattacielo colpito da un missile e mandato cento volte in tv come una rarità – invita ad essere onesti, realisti. Capuozzo ha scritto: «Sul fuoco si getta una coperta, lo si soffoca. Non benzina. Tra sconfiggere Putin ed evitare un conflitto mondiale, scelgo la seconda. La solidarietà migliore a chi in questa settimana è stato aggredito è fermare la guerra». E a Tempi ricorda che chi getta benzina non solo una guerra non l’ha mai vista, ma nemmeno ha fatto la naja, «un anno in cui al massimo mangiavi male e non vedevi la fidanzata. Facile dire oggi: “Armiamoci e partite”».
Partite, sì: perché se va bene abbiamo vinto, se va male a perdere saranno loro, i civili dell’Ucraina, sulla cui pelle giocare una guerra per interposta persona, un logoramento di Putin pagato con i cadaveri di anziani, donne, bambini, la sofferenza eterna di chi è sopravvissuto. «Io mi auguro che prima o poi la Russia viva una sua democrazia, quando e se lo vorranno i russi. Credo che dovremmo avere imparato dall’Iraq, dall’Afghanistan, che la democrazia non la esporti, non la imponi e non pretendi che gli altri ti assomiglino per forza. Altrimenti costruisci solo conflitti. Questa cosa del pretendere che tutto il mondo sia della Nato assomiglia alla visione “reclutatoria” dell’islam: ci sarà pace solo quando il mondo sarà islamico. Ma chi l’ha detto? Questo proselitismo forzato – o sei con me o sei contro di me – fa il paio con: o sei musulmano o sei infedele. O sei nella Nato o sei un nemico: ma dove sta scritto?».
Di Maio affossa De Gasperi
Realismo politico? Se a Macron possiamo riconoscere qualche centimetro in più rispetto agli altri leader europei («almeno ha avuto la costanza di attaccarsi a un telefono»), la cifra dello spessore «irrisorio» dei nostri politici l’ha ben restituita il ministro degli esteri Luigi Di Maio: «Io posso pensare e scrivere che “Putin è un criminale” perché non rappresento il mio paese ma solo me stesso. A che titolo l’Italia potrebbe avere parte, proporsi come forza di mediazione, quando il suo ministro degli Esteri si è così schierato, bruciandosi ogni possibilità di mediare? Avevamo una tradizione, quella di un paese che da De Gasperi ad Andreotti a Craxi, non basa la sua forza sulla forza, appunto, ma sulla mediazione. Oggi abbiamo una classe politica che ha scelto di essere testa di ponte. Non più ponte».
Pochi, dei tantissimi che oggi ci stanno raccontando la guerra hanno visto una vera guerra, veramente da vicino. Tutto, nell’epoca dei social, delle foto, dei video, delle dirette, avvicina noi a una guerra e ci porta in guerra, «a dubitare di ciò che è vero, a crederlo virtuale. Ad amare e armare le patrie altrui, fare molta retorica». Capuozzo è appena tornato dai Balcani, da una guerra iniziata trent’anni fa e una pace che ancora si chiama tregua.
Foto Ansa
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4 commenti
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Condivido questa saggia riflessione su come contrastare la guerra di Putin.
C’è un precedente storico la resistenza civile non violenta di Gandhi in India
Giacomo Andolina
Temo che il ns. Paese ne uscirà con le ossa rotte sotto tutti i punti di vista
Armare l’Ucraina è pura follia umanitaria e politica; come se vedendo 2 persone litigate, anziché cercare di farli ragionare mi presto a dare una pistola a ognuno .
Temo che da qs. storia il ns Paese ne uscirà con le ossa rotte sotto tutti i punti di vista
Trovo veramente bello questo articolo! Complimenti. Mi ci ritrovo completamente. Perchè non lo mandate al Corriere e a tutti i giornaloni che stanno continuamente gettando benzina sul fuoco?
padre Giustino