Travaglio non è l’unico a fare i rutti a tavola

Di Emanuele Boffi
28 Luglio 2021
Tutti d'accordo nel condannare le parole del direttore del Fatto contro Draghi, ma non è che gli altri commensali/commentatori si comportino molto diversamente
Marco Travaglio, direttore del Fatto quotidiano
Il direttore del Fatto, Marco Travaglio alla festa di Articolo 1

Si capisce che le parole di Marco Travaglio contro Mario Draghi siano un «rutto», come dice Giuliano Ferrara, ma si capisce meno l’indignazione degli altri commensali – i commentatori dei giornali e i politici – che il giorno stesso e seguente se ne sono risentiti assai, come se loro fossero al ristorante cinque stelle Michelin, e non invece in uno dei peggiori bar di Caracas.

Voglio dire: ruttano anche loro, e da anni, e però se la prendono solo col più screanzato al tavolo. Ha ragione ancora Ferrara, almeno su un punto del suo articolo ché su altri qui si dissente, quando ammonisce: «Soprattutto, niente zelo. Il rutto di Marco Travaglio contro Mario Draghi merita una pernacchia, non il linciaggio morale in nome di un orfano che oggi ha 74 anni e fa il capo del governo».

Ruttini di bon ton

Per esempio. Ieri su Repubblica Sebastiano Messina e Francesco Merlo, due che hanno costruito la loro carriera giornalistica sulla denigrazione e lo sberleffo degli avversari, le suonavano di santa ragione al direttore del Fatto, definito un «Torquemada de noantri», un «piccolo Vyšinskij» dalla «prosa torva» e che usa «il codice abituale di caricatura e di sbraco». Tutte definizioni che potremmo essere facilmente rivoltare contro i due accusatori, andando a spulciare i loro elzeviri su Berlusconi, Salvini, Ratzinger, Ruini o chi volete voi.

Però se il rutto a tavola lo fa Travaglio non va bene. Se lo fanno loro, allora è un elegante beau geste, un esempio di bon ton, un modello di stampa indipendente e di democratico diritto di critica. Alla peggio, è satira (e tu non vorrai mica censurare la satira, vero?).

Dove cade il frutto

Dopo che le parole del direttore del Fatto sono state applaudite dai partecipanti alla festa di Articolo 1, a Sebastiano Messina è venuto il dubbio che «a quel ramo della sinistra Travaglio piaccia perché ha la sfrontatezza di dire in pubblico quello che loro pensano ma non hanno il coraggio di dire».

Ma questo non è un dubbio: è una certezza, almeno dal tempo in cui Travaglio lasciò Repubblica e poi l’Unità per fondare un giornale che diceva le loro stesse cose, ma in maniera più esplicita, fegatosa e, visto che parliamo di eruttazioni, fragorosa. Una verità imperitura che vale anche nel giornalismo è che il frutto non cade mai lontano dall’albero.

Foto Ansa

Non perdere Tempi

Compila questo modulo per ricevere tutte le principali novità di Tempi e tempi.it direttamente e gratuitamente nella tua casella email

    Cliccando sul pulsante accetti la nostra privacy policy.
    Non inviamo spam e potrai disiscriverti in qualunque momento.

    Articoli correlati

    0 commenti

    Non ci sono ancora commenti.