Non è più il tempo di corride giudiziarie

Di Caterina Giojelli
16 Maggio 2020
«Non ho visto sui giornali francesi o spagnoli aperture dedicate a 400 inchieste avviate da altrettante procure sui morti per Covid nelle Rsa». Parla Mattia Feltri
Pio Albergo Trivulzio

Articolo tratto dal numero di maggio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Non è più il Novantatré ma molti ci sono rimasti, senza mai rincasare, «alla smisurata sciagura di oltre ventimila morti, e a quella prossima del disastro economico, ci siamo allegati la grande inchiesta giudiziaria impegnata a stabilire di chi sia la colpa». La slavina – è il titolo di un Buongiorno di Mattia Feltri sulla Stampa prima di approdare direttore all’Huffington Post – ha subìto poi un rallentamento, «nonostante questo – racconta Feltri a Tempi oggi che i morti sono trentamila – a fine aprile insieme ai cadaveri contavamo i fascicoli d’indagine aperti per epidemia e omicidio colposo presso una ventina di procure. Nulla ha fatto gola e notizia quanto quelle sulle Rsa lombarde a partire dal suggestivo Pio Albergo Trivulzio. Poi qualcuno ha capito che per due lettori o elettori in più non era il caso di giocare al pifferaio magico».

Per Feltri chi per colpa o calcolo avesse avuto lo stomaco di additare l’untore o incitare ai patiboli per regolare i conti con una Regione (dalla sanità eccellente eppure tremendamente impreparata al flagello) avrebbe meritato il destino che si era apparecchiato: le slavine non si fermano più. «La storia non si ripete, siamo noi a non avere imparato nulla. Non è colpa di nessuno ma ci sentiamo tutti colpevoli. Ragioniamo col metro della responsabilità individuale quando qualcosa sfugge al nostro calcolo e ci sentiamo mancar le ossa. Restiamo abbacinati, straniti perché non sappiamo concepirci come creature finite». Chi non ha mai trasgredito al metro di distanza o tentato un calcio giustiziere quando la vita lo ha preso a ceffoni?

Mattia Feltri

Non è più il Novantatré, l’anno della sterminata controinchiesta che il giovane Feltri ripropose su ogni singolo Foglio del 2003 e diventata poi un vigoroso libro per Marsilio: oggi magistrati e giornalisti irrompono in residenze per anziani, ambulatori, ospedali, nei luoghi dove stagna la paura della gente comune. «Non metto il naso nelle vicende famigliari, mi chiedo solo, quando sento della famiglia con dodici figli che ha innescato una vibrante protesta per la morte della madre in ospizio, se non fosse probabile, o almeno possibile, tra dodici figli, evitarle prima di Covid l’ospizio stesso. O almeno non escludo che in tanti, visto l’enorme aumento degli ingressi nelle case di riposo degli ultimi anni, abbia giocato un senso di colpa. Non significa chiudere gli occhi davanti ai morti o alle tragedie personali, anzi aprirli: se si hanno notizie di reato la magistratura apre un’indagine. Ma farne una corrida non serve niente a nessuno. Non ho visto sui giornali francesi o spagnoli aperture dedicate a quattrocento inchieste avviate da altrettante procure».

Feltri l’ha scritto più volte, la capacità di emettere sentenze in pagina in un istante gli fa orrore, specie se a emetterle non è un parente col diritto di essere fuori di sé ma un rappresentante del governo o della giustizia. «Quanto alla giustizia, dovrebbe spendersi per tutelare la responsabilità di medici e operatori sanitari che in questa grande tragedia collettiva si sono fatti carico di scelte tremende. Che non hanno mai scantonato nel caos balordo di ospedali e luoghi di cura e davanti a un nemico formidabile si sono presi la responsabilità di una scelta. E una scelta nell’ora estrema ed eccezionale di un’emergenza che travolge la storia dell’umanità non è mai reato». 

Non andrà bene, andrà comunque male, al flagello sanitario seguirà quello economico. E per non lasciare nel mondo la sola orma di un dolente peso d’inanità e paura, fare scelte, aiutare chi di dovere a prenderle sarà allora – lo è già – responsabilità di tutti. «Oggi preferiamo la sicurezza alla libertà. Al bene più grande su cui si fonda la storia dell’Italia democratica e repubblicana come la conosciamo oggi. Lo demandiamo allo Stato nel momento in cui promette di farsi carico del nostro bisogno e tutelarci con il solo richiamo ossessivo a un rosario di regole. Ma la libertà non è mai disimpegnata, è responsabilità, capacità di scelta e decisione. Ed è tutto quello di cui abbiamo bisogno ora».

Foto Ansa

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