
Trudeau vs Scheer. Il Canada sceglie quale cattolico vuole al governo

Oggi, lunedì 21 ottobre, in Canada si tengono le elezioni federali. È impossibile prevedere con certezza il risultato, non solo perché le urne sono appena state aperte, ma anche perché nei sondaggi nessuno dei due partiti principali – i Liberals di Justin Trudeau da una parte e i Conservatives di Andrew Scheer dall’altra – prevale nettamente sul rivale.
Secondo alcune recenti rilevazioni, i conservatori sarebbero addirittura in vantaggio, o comunque i progressisti potrebbero non avere la maggioranza parlamentare e per continuare governare sarebbero costretti a cercare l’alleanza con un partito di opposizione. In ogni caso, un risultato simile sarebbe abbastanza insolito di per sé, dal momento che non succede da 84 anni in Canada che un capo del governo sostenuto dalla maggioranza parlamentare non ottiene la rielezione.
Ma un’eventuale sconfitta di Trudeau sarebbe addirittura clamorosa, se si pensa a quanto sia stata celebrata la sua (quasi inaspettata) vittoria nel 2015. Con Barack Obama ancora regnante, Trudeau sembrava destinato a grandi cose, assieme a Matteo Renzi in Italia e a Emmanuel Macron in Francia. Rispetto ad allora, le cose sono precipitate abbastanza rapidamente. La “Trudeau mania” è abbondantemente passata e l’enfant prodige della sinistra internazionale, come abbiamo già scritto, ora rischia seriamente un pesante ridimensionamento, se non una sonora sconfitta.
Nonostante l’irrituale endorsement incassato da Obama (non capita spesso, anzi non capita mai, che un ex presidente degli Stati Uniti inviti gli elettori canadesi a votare per uno dei candidati in corsa), Trudeau è stato colpito da un paio di scandali che potrebbero risultare letali per un politicamente correttissimo come lui. Prima l’accusa di pressioni indebite sulla giustizia per risparmiare a una grossa azienda canadese un’indagine per corruzione internazionale. Poi è saltata fuori una vecchia foto del primo ministro da giovane con la faccia pitturata di nero durante una festa in maschera.
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In attesa dei risultati del voto, per gentile concessione del Catholic Herald, proponiamo di seguito in una nostra traduzione un articolo sulle elezioni in Canada di padre Raymond de Souza, sacerdote dell’arcidiocesi di Kingston, Ontario (Canada), e direttore di convivium.ca, apparso un mese fa nel sito del magazine cattolico londinese. Il testo originale in inglese è disponibile online in questa pagina.
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I canadesi sono famosi perché chiedono scusa. È la loro impostazione predefinita per i luoghi pubblici; una stazione o un aeroporto affollati diventano cacofonie di scuse sovrapposte, mentre le persone si smistano nella coda giusta. Si sente dire spesso che noi canadesi chiediamo scusa anche ai bancomat, sebbene io questo non possa testimoniarlo. Di sicuro la gente chiede scusa per aver fatto attendere gli altri in coda al bancomat.
Così, quando alla vigilia della campagna ufficiale per l’elezione federale canadese del 21 ottobre, è stato chiesto alla leader dei Verdi Elizabeth May chi fosse il suo «eroe personale», non è stata una sorpresa che lei abbia risposto: «Gesù Cristo, chiedo scusa».
Si è scusata semplicemente come fanno ogni volta i canadesi? Oppure era sinceramente dispiaciuta per aver fatto il nome di Gesù?
Alla fine si è capito che aveva chiesto scusa per aver risposto troppo «rapidamente e sinceramente» senza «correggersi» in tempo. Non è affatto stupefacente che la May si sia fatta prendere dalla sua fede cristiana. Si stava preparando per il sacerdozio anglicano quando decise che doveva «salvare il mondo» e fece il suo ingresso in politica. Ma la politica «non le piace per niente», e se il mondo fosse in grado di essere salvato, lei tornerebbe volentieri ai suoi studi religiosi.
«I politici in Canada non dovrebbero usare la religione come asso nella manica», ha spiegato la May.
E i politici non lo fanno di certo. Quando l’ex primo ministro Stephen Harper fece propria, per una volta, l’usanza di concludere i suoi discorsi con “Dio benedica il Canada”, si scatenò un dibattito nazionale sul timore che un imbonitore e/o un fanatico religioso americano stesse sabotando la nostra politica.
In Canada non si deve parlare di religione, se non per sollevare lo spettro malefico del fondamentalismo estremista. Il che è più che curioso, dal momento che il solo estremismo di sorta che abbia una presa sulla politica canadese è il fondamentalismo laicista. Indossare indumenti religiosi – l’obiettivo erano gli hijab, ma poi per amor di neutralità sono state colpite anche le kippah e le croci – è stato dichiarato illegale per i dipendenti pubblici in Quebec.
Ciò rende interessanti queste elezioni, visto che il leader del terzo partito, il New Democratic Party, è un sikh che indossa un turbante. Jagmeet Singh è orgoglioso della sua identità ma non ne parla mai in termini religiosi, bensì esclusivamente culturali. Ciò nonostante, si prevede che in Quebec verrà triturato.
I leader dei due partiti principali, il liberal Justin Trudeau e il conservatore Andrew Scheer, sono anomalie secondo gli attuali standard internazionali. Entrambi sono sposati con le loro prime mogli e tutti e due hanno figli. Trudeau ne ha tre, Scheer ne ha cinque. Il principe Harry troverebbe tutto ciò molto seccante.
Entrambi sono cattolici, ma Trudeau non mostra alcun segno percepibile di esercizio. Quest’anno ha trascorso il Triduo Pasquale facendo surf sulla costa occidentale. Scheer, d’altra parte, è abbastanza devoto, infatti fa del suo meglio per non arrivare tardi alla Messa della domenica con la famiglia a rimorchio, non da ultimo perché suo padre è un diacono della parrocchia che frequenta spesso.
Trudeau ha bandito ogni singolo candidato pro-life dal Liberal Party. In Canada i media sono piuttosto opprimenti nel loro libertinismo sociale, perciò questo è ritenuto prova di “moderazione” rispetto a Scheer, il quale accoglie i candidati pro-life, sebbene lui personalmente mantenga l’impegno dell’era Harper di non modificare la sfrenata legislazione canadese in materia di aborto, un regime che consente l’aborto a richiesta in qualunque momento a spese della collettività.
Ma poiché Scheer è un cattolico praticante, gli tocca scansare il sospetto secondo cui una volta che si sarà insediato imporrà subito le idee di papa Francesco. Questo per quanto riguarda l’aborto. Verrebbe invece lodato se seguisse la linea del Papa sul cambiamento climatico e sulla plastica nel mare.
«Nel contesto strategico delle elezioni, il leader conservatore Andrew Scheer parla di religione nel modo in cui i figli adolescenti parlano di sesso con i loro genitori: con riluttanza, minimizzando il suo entusiasmo personale», scrive uno dei giornalisti più importanti del Canada, Joe Brean, nel National Post. «Invece il leader progressista Justin Trudeau parla di religione nel modo in cui i genitori parlano di sesso con i loro figli adolescenti: con disagio, minimizzando la sua esperienza personale».
Il sacerdote più importante del Canada sta cercando di cambiare un clima che ha stabilito che la religione è fuoriluogo, un fattore tossico di influenza. Il cardinale Thomas Collins offrirà alcuni richiami una preghiera iniziale in occasione di un dibattito destinato a tutti i partiti e ospitato dalla sua diocesi, quella di Toronto. Ha prenotato un grande salone nel centro della città – i biglietti gratuiti sono andati esauriti in due giorni – e ha ingaggiato come moderatore uno dei più stimati giornalisti politici del Canada (ora in pensione).
Ancora non si sa chi si farà vedere, ma di certo non ci sarà Trudeau. Se Scheer si paleserà o manderà un suo delegato, questo dipenderà in parte da quanto questa nuova iniziativa sarà in grado di disintossicare l’argomento della religione in campagna elettorale.
[Alla fine neanche Scheer si è presentato all’evento: una cronaca della serata si può trovare nel sito del National Post, ndr]
Sebbene in Canada la religiosità influenzi indubbiamente le scelte elettorali, essa viene sopraffatta da altri fattori identitari. Non è come negli Stati Uniti, dove l’osservanza religiosa è il fattore più significativo nel voto: quelli che vanno in chiesa votano in massa repubblicano, quelli che non ci vanno votano in massa democratico.
Probabilmente tutto ciò non cambierà in questa tornata elettorale. Ma forse la voce della religione strapperà un pochino di attenzione in più. Ce ne scusiamo.
Foto Ansa
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