
I burocrati anticlericali in festa: da oggi la Sagrada Familia è “in regola”

La notizia, così come l’hanno lanciata i giornali venerdì scorso, è che la Sagrada Familia ha ottenuto i permessi di costruzione a 137 anni dalla posa della prima pietra. Lo scorso 7 giugno il Consiglio comunale di Barcellona ha infatti assegnato la licenza al comitato incaricato di terminare i lavori della cattedrale: lo ha annunciato ai giornalisti Janet Sanz, assessore all’Urbanistica, spiegando che il Consiglio è finalmente riuscito a risolvere quella che secondo la giunta di Ada Colau era «un’anomalia storica della città», cioè che un monumento emblematico come la Sagrada Familia non avesse un permesso di costruzione, «costruito illegalmente». Tutto risolto, quindi: la basilica sarà completata nel 2026, nel centenario della morte del grande architetto catalano Antoni Gaudí, raggiungerà un’altezza di 172 metri e un budget totale di 374 milioni di euro. Tutto nel rispetto della legalità. Barcellona festeggia.
LA FAKE NEWS DI ADA COLAU
Ma cosa festeggia Barcellona? E davvero la Sagrada Familia è un abuso edilizio? La risposta è che la giunta Colau non può saperlo: durante la Guerra Civile sono stati dati alle fiamme tutti i documenti relativi a questa e altre opere. Quanto all'”anomalia storica” si tratta di una fake news: la normalità storica è che le richieste di permessi venissero regolarmente consegnate ai comuni e che i comuni non rispondessero quasi mai. È accaduto a molte chiese, è accaduto alla Sagrada Familia. Innalzata solo grazie all’obolo dei fedeli, alle donazioni, ai biglietti di ingresso, praticamente sprovvista di risorse fino alle Olimpiadi del 1992, la stupefacente cattedrale sorta nel 1882 in quello che allora era il villaggio di Sant Martí de Provençals apre le sue porte ogni anno a 4,5 milioni di visitatori, ma attira nel quartiere 20 milioni di persone anche solo per contemplarla dall’esterno: una miniera d’oro per Barcellona.
UNA PENALE DA 36 MILIONI
Una miniera d’ora anche per il sindaco Ada Colau, che invece di baciarsi i gomiti per l’immeritata grazia di ritrovarsi in casa l’opera frutto di un genio in odore di santità, patrimonio dell’Unesco dal 2005, e facilitarne in ogni modo il completamento, ha pensato bene lo scorso anno di pretendere dall’ente che si occupa della costruzione 36 milioni di euro da pagare in dieci anni per mettersi in regola con la burocrazia. Colau parlò allora di «accordo storico»: di questi 36 milioni, spiega El País, 22 milioni verranno destinati a potenziare il trasporto pubblico, 7 a migliorare l’accesso alla metropolitana, 4 per riqualificare le strade intorno alla basilica, e 3 a pagare per servizi di pulizia, sorveglianza e agenti civici. In pratica per attenuare l’impatto negativo dei cantieri sul territorio. 4,6 milioni è invece il costo dell’imposta sull’edificio e della licenza che Gaudí richiese fin dal 1885 per innalzare un’opera trattata oggi alla stregua di un abuso edilizio.
COSTRUIRE PONTI, NON CHIESE
La licenza è stata concessa negli ultimi giorni del mandato di Colau, impegnata a costruire «un’internazionale progressista contro i populismi xenofobi», un «femminismo che sia antirazzista, anticoloniale, antiomofobo, che sappia creare ponti tra le diverse lotte che hanno in comune l’uguaglianza, la libertà, i diritti umani», «un’alternativa alle destre» attraverso il municipalismo: «Rivendicare il diritto alla città significa anche rivendicare una forma di potere decisionale sui processi di urbanizzazione e sul modo in cui le nostre città sono costruite. Solo quando si sarà capito che coloro che creano la vita urbana hanno, in primo luogo, il diritto di far valere le loro rivendicazioni su ciò che essi hanno prodotto, e che una di queste rivendicazioni è il diritto a costruire una città più conforme ai loro intimi desideri, solo allora potrà esserci una politica urbana che abbia senso».
«COME TUTTI GLI ALTRI, SENZA PRIVILEGI»
Una politica in cui la Chiesa cattolica deve evidentemente pagare pegno per la sua presenza tra gli uomini, se è vero che tra le prime misure della politica urbana piena di senso di Colau spicca la consegna di premi civili cittadini durante la cui cerimonia è stata promossa e recitata una versione blasfema in chiave sessuale del Padre nostro, e che da quando è stata eletta il presepe municipale non ha più rappresentato la sacra famiglia o la natività di Gesù, ma altri temi. Quanto alla Sagrada Familia, che l’assessore alla Cultura Daniel Mòdol aveva già liquidato come una «mona de pascua» (tipico dolce pasquale spagnolo dalla forma bislacca), accusata per la prima volta dopo oltre 130 anni proprio dalla giunta Colau di essere abusiva, oggi «dovrà pagare», ha annunciato Sanz trionfante ai giornalisti, «come tutti gli altri e senza alcun tipo di privilegio».
LA PROFEZIA DI GAUDÌ
Tutto finito così, con Gesù bandito e tartassato? Grazie a Dio no. La notizia, che non troverete sugli altri giornali, è che c’è qualcosa che la burocrazia anticlericale del governo di Barcellona non riesce ad asfissiare, «qualcosa nella Sagrada Familia che fa intravedere che tutto collabora al bene – spiega a tempi.it Chiara Curti, architetto esperta di Gaudì -: il 7 giugno, giorno in cui è arrivata la concessione municipale, cadeva il 93esimo anniversario dell’incidente che ha poi portato alla morte Gaudì».
L’architetto catalano venne infatti travolto da un tram il pomeriggio del 7 giugno 1926 e morì tre giorni dopo. «Le ultime parole che pronunciò nella Sagrada Familia furono quelle rivolte a un suo collaboratore “Viçenc, domani vieni presto che abbiamo da fare cose molto belle”: parole che risuonano come una profezia». Nulla è mai accaduto a caso nella storia della basilica, emblema della speranza di un popolo umile, maestosa opera dell’uomo ancora senza fine.
Foto Ansa
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