Ma come fa Cotelo ad avere successo con quei film così cattolici?

Di Monica Mondo
15 Febbraio 2019
Oggi la presentazione a Roma de "Il miglior regalo", il film sul perdono cristiano del regista de "L'ultima cima". La recensione dell'Osservatore Romano
La locandina del film

Articolo tratto dall’Osservatore Romano – La storia di un giovane prete. Un’indagine sulla Madonna. Le orme che portano a Santiago de Compostela. E ora un’inchiesta sulla possibilità del perdono. Come faccia un regista oggi ad avere successo con temi così, è un mistero. Eppure Manuel Cotelo è un caso, che dalla sua Spagna arriva un po’ ovunque, anche da noi: non lo trovate nelle sale della grande distribuzione, perché si produce e si distribuisce da solo e diffonde per contagio, grazie al passaparola in teatri poco off e molto carbonari, molto cattolici. E ci dispiace per gli altri, perché Cotelo, giornalista, volto noto della tv nel suo paese, accademico delle scienze e delle arti, stupisce, commuove, fa pensare, sorridere. Qualche anno fa si era presentato con L’ultima cima: un “cura”, un prete, che amava stare coi giovani e la montagna. Muore a 40 anni sulla vetta del Moncajo, e cambia il cuore di chi lo conosceva, Manuel compreso. Dov’è morte il tuo trionfo, se la speranza e la certezza del per sempre ti sopravanzano?

Il 15 febbraio Cotelo presenta a Roma – presso la Pontificia Università Antonianum – il suo ultimo film, Il miglior regalo, destinato ancora a colpire, e porre domande. È possibile che il dolore più ingiusto e crudele possa essere redento già qui, e da noi, poveri uomini e donne feriti? Ha senso per le vittime perdonare i carnefici? È impossibile, irrealistico, visione di qualche mistico, o follia. Cotelo va in cerca proprio dei folli di Dio, e li racconta, porta la loro testimonianza a scontrarsi col nostro buonsenso e la nostra coscienza.

Incontra Tim Guénard, che oggi cura le sue viti in Provenza, ma è stato un bambino abbandonato, picchiato, e un ragazzo violento, che voleva uccidere suo padre. Racconta di Irene Villa, splendida giovane donna e madre, campionessa di sci paralimpico, leggiadra sulle piste come nelle parole dolcissime che regala in mille testimonianze: ha perso le gambe, da piccola, per una bomba esplosa per colpire sua madre, funzionaria di stato. Un uomo e una donna che potrebbero odiare, e con ragione. Ma hanno scelto di perdonare, e di riprendersi una vita che l’odio avrebbe distrutto.

Facciamo un passo indietro: tocca premettere che questo regista anomalo non tocca mai corde buoniste, sentimentali o peggio bigotte. Gli piace far vincere i buoni, questo sì. Basta vedere la cornice, in cui incastona le storie cercate in giro per il mondo: lo sterrato polveroso del classico villaggio western, quello all’italiana, però: saloon fumosi, malandrini sbruffoni, sceriffi col baffo pendulo e pellerossa saggi che parlano col verbo all’infinito. Una parodia, per visualizzare un mondo in cui la giustizia è fai da te, in cui vince chi spara meglio, e si muore in tanti, per un colpo partito dietro all’ultimo bicchiere, per vendette ataviche che trascinano generazioni, padri e figli e nipoti.

Il regista dirige le riprese, e prova a cambiare il finale, ma ha bisogno di prove, di testimoni, di un lieto fine possibile e non solo nei film zuccherosi. Sale a cavallo e il Far West si dilata nelle foreste della Colombia, dove i guerriglieri delle Farc, con centinaia di omicidi addosso, si inginocchiano e ricevono la pace dai parenti di chi hanno crudelmente ucciso. Si colora di verde nelle dolci colline del Rwanda, teatro del genocidio più efferato e trascurato della storia moderna: oggi la pace è realtà, hutu e tutsi convivono, piangendo insieme i loro morti, grazie al metodo della giustizia riparativa, rubato ai cristiani e trasformato in programma di governo. L’eroico diventa quotidiano e il quotidiano eroico: in nome di Dio si può, se Dio non è una parola o un idolo, ma un’esperienza. Si può perfino imparare a riamarsi, quando troppi silenzi e tradimenti feriscono vite che si erano promesse l’unità, in eterno, perché il nostro più acerrimo nemico può essere l’amato.

Lo scandalo della misericordia è alla nostra portata: non è una strada piana, e richiede tempo e pazienza, anche verso la propria debolezza, ma accettare la sfida sorprende, fa crescere in umanità e apre il varco alla felicità. Se un film ti regala questi pensieri, è un film che fa del bene. Se poi sa miscelare i toni drammatici con l’umorismo, l’emozione alla sana risata, siamo nella miglior tradizione cattolica. Un tal celebre scrittore ricordava che gli angeli possono volare perché non si prendono troppo sul serio.

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