Lo Stato tratta gli insegnanti delle scuole paritarie come docenti di serie B

Di Filomena Pinca
12 Settembre 2018
Si dice che il lavoro nobiliti l’uomo, ma cosa accade quando questo diritto ampiamente esercitato da alcuni cittadini non viene riconosciuto dalla Res Publica che dovrebbe tutelarlo?

Continua il dibattito sulle scuole paritarie: qui potete leggere i precedenti contributi (1, 2, 3, 4). Riceviamo e pubblichiamo.

Chi vuole cancellare il finanziamento alle scuole paritarie, fa appello all’articolo 33 della Costituzione, ricordando che gli istituti privati devono andare avanti «senza oneri per lo Stato». Benissimo. Fa sempre bene leggere gli atti originali e ripercorrere la nostra storia. Correva l’anno 1947 e in aula a Montecitorio si dibatteva l’articolo 27 della Carta, divenuto 33 nella stesura definitiva. Epicarmo Corbino, liberale, presentò un emendamento, firmato da svariati deputati che aggiungeva «senza oneri per lo Stato» al testo già approvato «enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione». Giovanni Gronchi (Dc) lamentò che così si sarebbe negato allo Stato di concorrere a sostenere scuole non solo di enti religiosi, ma altresì di enti comunali e provinciali. Corbino intervenne per tranquillizzarlo, dando la lettura autentica del proprio emendamento: «Noi non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore degli istituti privati: diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato. È una cosa diversa: si tratta della facoltà di dare o non dare». Si trattava dunque di sottrarre al “privato” che volesse istituire una scuola il diritto di pretendere contributi pubblici, non già di negare allo Stato la concessione di tali aiuti.

Ora un bel salto temporale fino ai nostri giorni. 10 marzo 2000: viene istituito il Sistema nazionale di istruzione, di cui fanno parte le scuole statali e le scuole private e degli enti locali dichiarate “paritarie”. Il riconoscimento della parità scolastica inserisce la scuola paritaria nel sistema nazionale di istruzione e garantisce l’equiparazione dei diritti e dei doveri degli studenti, le medesime modalità di svolgimento degli esami di Stato, l’assolvimento dell’obbligo di istruzione, l’abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale e, più in generale, impegna le scuole paritarie a contribuire alla realizzazione della finalità di istruzione ed educazione che la Costituzione assegna alla scuola. Le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico e devono accogliere tutti coloro che, accettandone il progetto educativo  richiedano di iscriversi, compresi gli alunni e studenti “con handicap”.

Anno 2005: l’art. 1 del decreto legge del 5 dicembre stabilisce la funzione pubblica delle scuole paritarie. Anno 2018: «I finanziamenti alla scuola paritaria tolgono soldi a quella pubblica e sono contro la Costituzione». Ormai questo “conflitto” tra favorevoli e contrari alla spesa per le paritarie è diventato un tormentone, molto spesso basato più su ragioni ideologiche che di convenienza economica, eppure i numeri sembrano parlar chiaro: le scuole paritarie sono frequentate da 1 milione e 300 mila studenti contro i circa 9 milioni delle statali; la spesa media statale per ogni studente delle paritarie è di circa 490-500 euro annui, si va dai 600 euro per le scuole materne addirittura a 50 euro spesi per le superiori contro i 7.500 euro per uno studente di scuola statale. Se le paritarie chiudessero, il sistema scolastico statale pagherebbe di botto 9 miliardi e 750 milioni in più, senza considerare poi il dover trovare la disponibilità immediata di altri edifici agibili per accogliere questi studenti.

Cosa fare? La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. Molti genitori che hanno scelto per i loro figli le paritarie fanno notare che da cittadini pagano regolarmente le tasse, ma non usufruiscono del servizio della scuola statale, dunque trovano giusto che ci sia almeno un contributo da parte dello Stato per la scuola frequentata dai loro figli. A tal proposito tornerebbe utile il “costo standard” di cui parla suor Anna Monia Alfieri che permetterebbe di quantificare un “buono scuola” assegnato direttamente alla famiglia e non alla scuola, affinché possa esercitare il suo diritto di scelta educativa. Io sono d’accordissimo con quello che lei sostiene: «Considerare le spese per l’istruzione non come costi ma come investimenti in capitale umano». Parallela alla questione finanziamenti, ve n’è un’altra ancora più spinosa: il docente di scuola paritaria è un docente di Serie B.

Si dice che il lavoro nobiliti l’uomo cioè che lo renda nobile, migliore. Il lavoro è fondamentale, lo sancisce anche la nostra Costituzione nell’Art.1, indispensabile, necessario. Senza lavoro c’è il nulla.
Cosa accade però, quando questo diritto ampiamente esercitato da alcuni cittadini non viene riconosciuto dalla Res Publica che dovrebbe tutelarlo? La ripetuta esclusione dai Ccni di mobilità, nella parte relativa alle Note comuni, del servizio prestato nelle scuole paritarie, palesemente in contrasto con una legge nazionale e con i principi comunitari di non discriminazione e di parità di trattamento, mi lascia sgomenta. Nella gerarchia delle fonti, la contrattazione collettiva assume una posizione intermedia, al di sopra della quale si trovano la legge, la Costituzione, le norme di diritto internazionale, i regolamenti e le direttive comunitarie dispositive.

Il nostro Legislatore ha previsto che il contratto collettivo nazionale possa contenere delle deroghe alle disposizioni di legge a condizione, però, che esse siano più favorevoli per il lavoratore. Non mi pare che i vari Ccni abbiano applicato la derogabilità in melius, anzi, non si è fatto altro che avvallare la disparità di trattamento tra soggetti che svolgono uno stesso lavoro. Vorrei aggiungere un’ultima riflessione per coloro che gridano all’untore di manzoniana memoria contro il docente di scuola paritaria: «Sei stato assunto per conoscenza! Ti fai “sfruttare” solo per il punteggio». Se ne siete convinti, cosa aspettate? Denunciate i diplomifici, mandate gli ispettori del Miur, denunciate chi crea ma anche chi si rende complice di questo sistema che ha contribuito a gettare fango sulla scuola.

Nella paritaria “sana” io ci sono stata e ho dovuto assistere impotente alla sua chiusura per motivi economici; “scelta” perché, tra tante domande pervenute al Magistrale, ero l’unica a possedere l’abilitazione Ssis in latino e tra i diversi requisiti previsti per ottenere lo status di paritaria vi è proprio l’abilitazione del personale docente (quarto comma dell’art. 1 della legge 62 del 2000, lettera g). Se a disturbare tanto è l’assunzione lasciata direttamente alle scuole in base al proprio regolamento, che può essere un bando oppure una graduatoria stilata in base alle domande pervenute, chiedo a chi ne ha il potere di aggiungere un ulteriore requisito per buona pace di tutti, anche se la sentenza 1102/2002 del Consiglio di Stato aveva già affrontato l’argomento del differente sistema di reclutamento con un bel «lungi dall’incidere sulla pari dignità degli insegnamenti».

Foto Ansa

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