
Connessi a un satellite meraviglioso che tutto può, eppure sempre più soli

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Togliete il cellulare a un cittadino moderno e andrà in crisi respiratoria in breve tempo. Il telefono è diventato un arto, un prolungamento delle orecchie e degli occhi, una protesi del cervello, un surrogato della memoria. Il telefono è noi stessi, non possiamo vivere senza. È la prima volta, nella storia, che succede qualcosa di simile con una tecnologia. Nessuna, nemmeno l’automobile, ha assunto un ruolo così insostituibile nella dimensione quotidiana della vita umana.
Se passate la mattina davanti a una fermata dell’autobus vedrete solo occhi chini sugli schermi luminosi degli smartphone. Le persone camminano parlando, come un tempo si pensava facessero gli svitati. In auto nei casi migliori si vedono anziani signori che gesticolano nel vuoto di un bluetooth e nel peggiore altri che tengono il cellulare al posto del cambio o del volante. Si dice che ormai sia altissimo il numero degli incidenti stradali causati da guidatori che invece di guardare la strada osservavano ansiosi il testo dell’ultimo sms. Si cita sempre, non senza ipocrita nostalgia, il tempo delle pile dei gettoni con i quali, non meno ansiosi, si telefonava a casa per sapere le novità del giorno. Ma le tecnologie non dovrebbero servire a ridarci tempo, a toglierci ansia, a farci vivere meglio?
Il telefono ha riempito la nostra vita di comunicazioni inutili e superflue che alimentano un flusso massiccio e greve di coriandoli di relazioni o di notizie che sempre più facciamo fatica a organizzare e definire in un quadro coerente e riconoscibile. Importante e inutile, gatti che sanno far di conto e attacchi terroristici fluiscono allo stesso modo, come un torrente che porti rose e vecchi armadi rotti. In fondo il tema del nostro tempo è la capacità di distinguere, di analizzare, di pesare. Sentiamo di essere tutti collegati a tutto. Ma sappiamo che è una pia illusione. Sotto al satellite meraviglioso che tutto può c’è, in verità, una grande, diffusa solitudine.
Foto Ansa
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