Sani dubbi un po’ bobo sulla gauche bolivariana

Di Giuliano Ferrara
22 Aprile 2017
Mélenchon, e se è per questo la cara Marine che tanto gli assomiglia, è un richiamo alla politicità delle masse, alla loro organizzazione e mobilitazione vecchio stile

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Sarà che a forza di Trump e Le Pen e derivati italiani di serie B del cosiddetto “momento populista” mi ritrovo bobo, parte di un’élite di stronzi che giovanissimo attaccava i manifesti del maggio 1968 stampati all’École des Beaux-Arts, vietato vietare e altre cazzate eroiche, ma il ragionamento di Daniel Cohn-Bendit sul tribuno Jean-Luc Mélenchon, svolto dalla parte del sostegno all’enarca Emmanuel Macron, mi convince.

Mélenchon, che va forte nei sondaggi, il che può anche non voler dire molto dati i tempi, ma chissà, vuole riscrivere di brutto i trattati europei, e se non va, se la spacca, uscire dall’Unione, e già che c’è anche dal Fondo monetario, e già che c’è anche nazionalizzare molto e rinserrarsi nel progetto bolivariano, cioè un’associazione di dementi latinoamericani in cui campeggiano Raúl Castro e sopra tutto quel Maduro, il venezuelano autista e successore di Chávez che ha distrutto uno dei paesi più ricchi di petrolio al mondo, condannandolo al disordine selvaggio e alla fame, con l’inflazione a tre cifre. Jean-Luc ora fa il bravo, si dice uomo della pace nel comizione al vecchio porto di Marsiglia, e declama le poesie di Jannis Ritsos con elegante lirismo, ma per Dany è puro Georges Marchais anni Settanta, un comunista pacifista con le cautele della prossimità all’Unione Sovietica, oggi ribattezzata Putin.

Macron è invece un punto d’equilibrio, democratico e riformista, senza ubbie e ghiribizzi, con un sospetto di rinnovamento di sistema e non contro il sistema (una cosa un po’ come Renzi). E Cohn-Bendit si augura che metta fine con la proporzionale alla V Repubblica gaulliana, visto che dovrà governare, ma questo riguarda praticamente tutti i candidati, senza una maggioranza presidenziale precostituita in Parlamento, e dunque governare attraverso coalizioni, tenendo fermo il disegno di un’Europa commerciante quanto volete, e salumaia, ma di pace e cooperazione, il che ormai non è più scontato.

Mitterrand però non era snob
Certo, Mélenchon, che giudico snob con tutto il suo bagaglio di consenso indifferenziato ma che ha una larga base sognatrice di sinistra (ha anche lui i suoi bobo, i paysans e i proletari di banlieue stanno con Marine Le Pen), è parte di un vecchio fascino, quello della politica pura. In fondo anche Mitterrand, quando vinse nel 1981, vinse con l’unità della sinistra intorno a un programma di socializzazione dell’economia e nazionalizzazione delle banche (niente di nuovo sotto il sole), e dopo due anni si convertì machiavellicamente all’arte dello Stato e cominciò per altri quindici a governare nel segno del possibile, alleato con l’argent, con il mondo del denaro, delle forze produttive, e con una politica estera e di difesa che del tratto iniziale, sogno & gauche, non aveva più alcunché. Mitterrand però non era snob, era un uomo di destra provinciale fattosi républicain, di cultura fiorentina, che seppe rompere la crosta costruita dal generale intorno alle istituzioni e legittimarle in modo spregiudicato e con un tratto personale sempre ambiguo eppur carico di risultati.

In queste reviviscenze della rivoluzione nel XXI secolo si vede molto bene la crisi delle élite, non una solida nuova classe dirigente. Il problema di Macron, come in altri termini e contesti quello di Renzi, è che quando parlano si vede bene il ministro dell’Economia, il presidente del Consiglio, e nel caso di Macron un tecnico brillante che ha studiato molto e ha idee notevoli, ma non si vede il fondo oscuro della politica e dello Stato.

La modernità e le sue masse
Il decrittatore magistrale della modernità qui a Parigi si chiama Marcel Gauchet, e ha dedicato una quadrilogia fenomenale all’avvento della democrazia moderna e al mondo nuovo in cui ci troviamo con la globalizzazione dei mercati e il trionfo dell’individualismo puro. Gauchet sostiene che immaginarsi il populismo di oggi come un ritorno agli anni Trenta, sia da parte dei nemici che degli amici degli antisistema, è un segno di ignoranza della storia. Quegli anni novecenteschi furono tutti, dice, sotto il segno della politicizzazione e organizzazione collettiva delle masse, laddove adesso sono la depoliticizzazione e la riduzione a way of life individuale di tutti gli elementi del puzzle: non è in offerta un Reich o un sogno d’avvenire fondato sul passato, ma solo un modo di vita fondato sul presente del consumatore e comunicatore. Spero abbia ragione. Intanto Mélenchon, e se è per questo la cara Marine che tanto gli assomiglia, è proprio un richiamo alla politicità delle masse, alla loro organizzazione e mobilitazione vecchio stile, con tanto di richiami ideologici per la gauche a Bolívar, figuriamoci, e per il frontismo di destra all’eliminazione della kippà dalla scena pubblica. Vedremo come andrà a finire.

@ferrarailgrasso

Foto Ansa

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.