
Giustizia lumaca e gogna mediatica, in campo i corsari della riforma

«Martedì saremo a Roma. Con il video inedito La bilancia della giustizia che palesa l’urgenza di una grande riforma; con ospiti, amici, con alcune vittime della malagiustizia e del circo mediatico italiano. Saremo a Roma per presentare il nostro movimento per una giustizia equa ed efficiente, per un Paese più giusto e competitivo, ma soprattutto per ridare centralità a un tema da più di vent’anni ostaggio di schermaglie e strumentalizzazioni politiche: quello di una giustizia lenta, che non funziona, che rappresenta agli occhi dei liberi cittadini e delle imprese una fonte di incertezza o, peggio, di arbitrio, che trasforma in reato penale condotte affidate nel resto del mondo alla giustizia civile rappresentando un disincentivo per gli investimenti nazionali e stranieri».
DOPO VILLA TAVERNA. Sono passati tre mesi da quel pranzo organizzato dall’ambasciatore statunitense John R. Phillips a Villa Taverna, sede dell’ambasciata americana a Roma, che ha lanciato (presente l’ex ministro Paola Severino) Fino a prova contraria – Until proven guilty, un movimento di persone, professionisti di diversi settori, dall’impresa alla comunicazione, nonché esperti di diritto, come l’ex procuratore capo di Prato Piero Tony, Edward Luttwak (analista e consulente del governo statunitense), l’imprenditore Giuseppe Cornetto Bourlot, l’amministratore delegato di Marsilio Editori Luca De Michelis e l’esperto di comunicazione Patrizio Donnini (della società fiorentina Dotmedia). A guidarlo Annalisa Chirico, giornalista e saggista, che martedì 19 luglio alle 18.45 nel Palazzo Wedekind a Roma ospiterà sul palco dell’evento “Cambiamo la giustizia per cambiare l’Italia” gli interventi di Giuliano Amato, Raffaele Cantone, Giovanni Legnini e Paola Severino, e insieme a loro quelli di Mario Barbuto, Giuseppe Cornetto Bourlot, Simone Crolla, Luca De Michelis, Giovanni Fiandaca, Edward Luttwak, Andrea Mascherin, Beniamino Migliucci, Marcella Panucci, John R. Phillips e Piero Tony. «E ci saranno anche Fausta Bonino, ribattezzata dai giornali “l’infermiera killer di Piombino” fino a quando il Tribunale del riesame ha cancellato ogni accusa contro di lei: è la sua prima uscita pubblica, è stata lei a contattarci e volentieri ascolteremo la sua testimonianza. E ci sarà Giuseppe Gulotta, che ha trascorso 22 dei suoi 58 anni in carcere per un reato che non ha mai commesso», racconta a tempi.it Chirico.
IL CASO ILARIA CAPUA. «Troppo spesso assistiamo a casi di giustizia negata e di malagiustizia, sia in ambito civile che penale. E la cattiva giustizia può colpire ciascuno di noi, complice la gogna mediatica. Parli per tutti il caso della scienziata Ilaria Capua, scagionata da infamanti accuse oltre dieci anni dopo l’inizio delle indagini e due anni dopo la copertina dell’Espresso che la accusò di essere una trafficante di virus senza scrupoli. Prosciolta dalle imputazioni di associazione a delinquere, epidemia e tentata epidemia, il gip di Verona, che ha decretato il non luogo a procedere “perché il fatto non sussiste”, nell’ordinanza ha messo in evidenza tutte le falle e gli abbagli presi dal procuratore sul suo caso e tradotti nella solita campagna mediatica che trasforma il malcapitato in colpevole per forza». A ciò, spiega Chirico, si unisce la consapevolezza che una giustizia inefficiente comporta una perdita netta di ricchezza per il paese a causa dei mancati investimenti: «Oggi l’Italia è l’ottavo paese in Europa per investimenti diretti statunitensi. Con una giustizia efficiente e giusta diventerebbe il secondo o il terzo».
ITALIA MAGLIA NERA. Secondo il Global Competitiveness Index 2015 del World Economic Forum, su 140 paesi l’Italia è al 43esimo posto per la competitività del sistema Paese. Tra i fattori più penalizzanti ci sono l’inefficienza della burocrazia e il carico fiscale. Il settore in cui si registra la performance peggiore è la giustizia: l’Italia è al 139esimo posto per l’efficienza della cornice giuridica nella risoluzione delle controversie, superata perfino da Zimbabwe (92esimo posto) e Burundi (117esimo), e all’81esimo posto per la percezione dell’indipendenza dell’apparto giudiziario, ben al di sotto di Germania (17esimo posto) e Francia (29esimo). «Si tratta di una variabile fondamentale per creare un ambiente favorevole agli investimenti, dove siano garantiti lo stato di diritto e la possibilità di prevedere, con un ampio margine di successo, l’esito di un procedimento giudiziario». Basta dare uno sguardo all’EU Justice Scoreboard del 2015 pubblicato dalla Commissione europea (il “termometro” di qualità, efficienza e indipendenza del sistema giudiziario nei singoli paesi membri) per rendersi conto che «un paese è competitivo se ha un sistema giudiziario che funziona, e che senza certezza del diritto nessuno è disposto a investire». Nel nostro paese ci vogliono in media più di 600 giorni per risolvere controversie civili e commerciali: peggio dell’Italia fa solo Malta (750 giorni circa). Stesso discorso per il numero di controversie civili e commerciali pendenti: solo Grecia e Cipro registrano performance peggiori delle nostre. Secondo l’indagine Doing Business 2016 della Banca mondiale, che offre una misura quantitativa del business environment di 189 economie, la loro competitività e la capacità di attrarre investimenti, l’Italia occupa il 45esimo posto, dando il peggio nell’ambito del pagamento delle imposte (137esimo) e della qualità del sistema giudiziario nella risoluzione delle dispute (111esimo).
IL MANIFESTO. Di questo e molto altro si discuterà alla presentazione di Fino a prova contraria a Roma per ribadire i capisaldi della riforma attesa e necessaria per il paese: «Vogliamo una giustizia che tuteli l’imprenditore nel perseguimento del suo legittimo interesse a favorire sviluppo e lavoro senza leggi, ed applicazioni delle stesse, che lo carichino di oneri ingiustificati. Una giustizia amministrativa dai tempi celeri che funga da traino dello sviluppo economico e non sia ostacolo all’esercizio della libertà d’impresa. Una “giustizia giusta”, ispirata a un processo equo basato sull’effettiva parità tra accusa e difesa, in coerenza con l’articolo 111 della Costituzione italiana». Per garantire tale parità, la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti è per Chirico un passo ineludibile, «vogliamo difendere l’autorevolezza di una magistratura responsabile e affidabile, essenziale per il buon funzionamento di una democrazia liberale, secondo le migliori pratiche e standard internazionali. Vogliamo promuovere un sistema giudiziario che rispetti il cittadino e assicuri i tempi ragionevoli del processo civile e penale; il superamento della custodia cautelare in carcere come prassi ordinaria al fine di riportarla alla sua originaria funzione di istituto eccezionale e residuale; la certezza del diritto e della pena perché la vittima del reato non sia anche vittima dell’inefficienza del sistema». E gli esempi non mancano.
RIFORMA A COSTO ZERO. Tra gli altri sul palco a Roma interverrà anche Mario Barbuto, che dodici anni fa è diventato il presidente del tribunale civile di Torino. In sei anni è riuscito a ridurre la durata media delle cause da sette a tre anni. «Lo ha fatto applicando criteri manageriali che potrebbero essere applicati con successo in tutta Italia; il tribunale di Marsala ha seguito il suo esempio e ha raggiunto risultati simili. Il suo lavoro non ha richiesto al Parlamento di approvare una nuova legge, né al governo di emanare un decreto». Una svolta possibile dunque, in un’Italia dove si impiegano sette anni per portare a termine una causa civile, contro una media di poco più di due anni: la performance peggiore in Europa, come ha rilevato l’Economist. «Questi dati ci dicono che la giustizia non è un problema, ma è il problema del paese, e che l’unica strada per tornare ad essere più competitivi passa attraverso la riforma del sistema giudiziario. Fino a prova comtraria intende portare avanti questa campagna di opinione. Invito chi è interessato a seguirci sui social network, a visitare il nostro sitoweb e a iscriversi alla newsletter. Presto saranno pubbliche le regole per la costituzione dei club locali: siamo aperti a tutti i cittadini liberi che vogliono vivere in un Paese libero, che credono nello stato di diritto e in una giustizia che rispetti la vita delle persone».
Foto giustizia da Shutterstock
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Non è vero che la riforma sia a costo zero: saranno lacrime e sangue…