
Ramadan anche per i cristiani, è la libertà religiosa di Riad
Come ogni anno, alla vigilia del ramadan, qualcuno al ministero dell’Interno saudita affila le armi: il Comitato per la promozione del bene e la prevenzione del male, meglio noto con il nome di “muttawa”, la polizia religiosa. «I non musulmani residenti nel regno – si legge nel comunicato di giovedì scorso – sono tenuti a rispettare i sentimenti dei musulmani astenendosi dal mangiare, bere e fumare in pubblico, nelle strade e ai posti di lavoro». Il fatto di non essere musulmani, precisa il comunicato, non esonera nessuno dal rispettare il ramadan e chi violasse le indicazioni «sarà sottoposto a severe misure quali la cessazione del contratto di lavoro e l’estradizione dal regno» dato che «i contratti prescrivono il rispetto della sacralità dei riti islamici». Infatti, se è noto che in Arabia Saudita, che mantiene il primato nella classifica dei paesi che violano la libertà religiosa, è vietato celebrare riti non islamici, meno noto è l’obbligo per i non musulmani (ma anche per i musulmani) di osservare riti islamici. È così offensivo dei sentimenti del musulmano se un cristiano o un buddista consuma un pasto in sua presenza? Scandaloso a questo proposito l’atteggiamento dei paesi occidentali “amici” del fornitore di petrolio. Lo scorso luglio il Dipartimento di Stato Usa ha deciso di mantenere sospese le sanzioni contro Riad, previste per i paesi sulla lista nera della libertà religiosa, dopo le ennesime promesse saudite di garantire la pratica religiosa (solo in privato) ai residenti non musulmani e di regolamentare le competenze della polizia religiosa. E ciò malgrado le affermazioni del capo della Commissione per la libertà religiosa del Congresso secondo cui la situazione in Arabia Saudita non è sostanzialmente migliorata da due anni a questa parte.
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