Come sarebbe in pace e in cateen il mondo se negli ultimi quindici anni avessimo obbedito alla ‘sinistra illiberatrice’

Di Giulio Meotti
01 Giugno 2006
C. Rocca, Cambiare regime, pagg. 254, euro 14,50

C’era un tempo in cui al grido di Aung San Suu Kyi (Nobel per la Pace 1991), «per favore, usate la vostra libertà per promuovere la nostra», la sinistra europea sarebbe corsa a cantare i diritti di questa combattiva donna birmana. Nel caso, anche impugnando le armi. Oggi la sinistra ha tradito quell’imperativo morale, dopo aver venduto l’anima alla burocrazia corrotta delle Nazioni Unite. Christian Rocca, giornalista del Foglio, a questo nuovo «tradimento dei chierici», per usare l’adagio coniato dal grande Julien Benda ai primi del Novecento, ha dedicato un libro formidabile dal titolo eloquente: Cambiare regime (Einaudi). Un lungo racconto che si alza sulle macerie dell’11 settembre; macerie che per qualcuno, come Rocca, non hanno mai smesso di fumare rabbia, tanto è il dolore sparso sopra New York una mattina di cinque anni fa da diciannove messaggeri votati alla Morte e alla Barbarie.
L’autore, che negli ultimi tre anni ha raccontato sul Foglio la guerra americana al terrorismo islamista, dall’Afghanistan all’Irak, sostiene che promuovere la democrazia non è una strategia inventata da George W. Bush. Presidenti come Madison, Jefferson, Wilson, Roosevelt, Truman, Kennedy, Carter, Reagan e Clinton – nomi che si intrecciano a formare la leggenda americana – hanno esportato libertà e difeso i diritti umani ovunque nel mondo. È vasto il banco degli imputati di Rocca, a cominciare dal progetto genocida dei «guerrasantieri islamici», i pan-jihadisti che hanno insanguinato le stazioni di Atocha e Euston. E su tutto c’è «la sinistra illiberatrice, politica e giornalistica, che è contraria pregiudizialmente a tutto ciò che fa il mondo anglosassone e che non è mai stata interessata al progetto di rinascita democratica delle società arabe».
È un pamphlet idealista e coraggioso, considerando come la pubblicistica italiana tratta gli Stati Uniti e il loro sforzo eroico di sradicare il male là dove nasce. Un libro a cui va dato il benvenuto nella letteratura dell’orgoglio, minoritaria perché costretta a scavare come un tarlo dentro anni e anni di cattiva coscienza. Il terreno in cui si muove Rocca è quello seminato da una parte della sinistra anglosassone, a cominciare da Christopher Hitchens e Paul Berman, due liberal banditori della libertà americana. Quell’Hitchens che a New York, durante il faccia a faccia con il saddamita inglese George Galloway, ha detto: «Se negli ultimi 15 anni avessimo seguito i consigli dei pacifisti, oggi avremmo un Kuwait annesso all’Irak, Slobodan Milosevic al potere in Serbia con il Kosovo ripulito etnicamente, i talebani che opprimono l’Afghanistan ospitando i terroristi di Al Qaeda e Saddam Hussein padrone di quel campo di concentramento in superficie con fosse comuni sottoterra che era il suo Irak». Turbanti persiani, corrotti, terzomondisti, diplomatici venduti, baathisti, osservatori ciechi, giornalisti faziosi, intellettuali mercenari, sono solo alcuni dei personaggi che formano questo romanzo dell’antitirannide. Unico, appunto. Dove si vede perché l’America non è l’Europa. L’America combatte il male perché abbraccia il futuro, nasce da una cultura ottimista, umana e giusta fino all’idolatria della perfezione. L’Europa invece nasce da un passato di morte, scende a patti con il male, vive, da sempre, immersa nel veleno del pessimismo. Non si va a liberare un paese se prima non si crede nel proprio. God bless America.

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