
L’evangelico scriba di Bush
Michael Gerson lavorava al settimanale popolare U.S. News&World Report, dove si occupava di aborto e religione. Un giorno lo chiama il governatore del Texas, George W. Bush. Vuole offrirgli un posto nella campagna per le presidenziali del 2000. «Non è un’intervista. Voglio che sia lei a scrivere il mio discorso di accettazione alla convention repubblicana». Il quarantunenne Gerson, a cui il New Yorker ha appena dedicato una gigantografia intitolata “Il credente”, è diventato “lo Scriba” di Bush, il più discusso speechwriter della presidenza repubblicana. Dopo il reverendo Bill Graham, che ha aiutato Bush a liberarsi dall’alcool, Gerson è l’evangelico più vicino all’orecchio del presidente.
Sei anni fa il discorso inaugurale della prima presidenza Bush nacque durante una mattina all’alba ad Alexandra, Virginia, mentre Gerson sedeva a un tavolino del bar sotto casa. Secondo il New York Times sarebbe diventato «il discorso più eloquente mai pronunciato da Bush». Il petroliere texano vinse le sue prime elezioni con queste parole di Gerson: «I valori che trasformano un pezzo di terra in una città, in una nazione eletta». Sempre Gerson ha coniato la celebre espressione «asse del male». Ha lavorato per quattro anni al secondo piano della famosa West Wing, l’ala occidentale della Casa Bianca. Per scrivere andava allo Starbucks più vicino alla Casa Bianca. Ha conosciuto Dawn, la sua futura moglie, quando entrambi prendevano lezioni di piano per suonare in chiesa. “Mike” è estremamente religioso, candido, educato, deciso, influente, persuasivo, quindi odiato. L’America liberal detesta il suo ciuffo divino, ma ne riconosce il talento di genio. L’ex presidente Jimmy Carter gli ha chiesto più volte di tornare fra i Democratici, dove una volta era la sua casa. Nel 1985 Gerson scrisse un articolo antiabortista. Lo lesse Chuck Colson, uno dei più influenti evangelici d’America: «Mike, devi venire a Washington e farti un po’ di esperienza in politica».
TRA MLK E DELANO ROOSEVELT
Gerson ha scritto il suo ultimo discorso presidenziale in occasione dell’inaugurazione del secondo mandato di Bush, nel gennaio del 2005. «Mike è la coscienza di questo posto», ha detto Peter Wehner, direttore del White House Office of Strategic Initiatives. A chi lo accusa di essere solo un predicatore, Gerson risponde che «le nostre più profonde convinzioni morali e religiose hanno sempre conseguenze pubbliche». Sul suo tavolo a West Wing teneva in bella vista una foto di afro-americani raccolti in preghiera. Ha detto che «quando una società mette al bando l’influenza della fede, perde una delle più grandi fonti della compassione e della giustizia. La mia visione è sintetizzata da Martin Luther King, il quale disse che la Chiesa non deve essere la guida dello Stato o la serva dello Stato, ma la coscienza dello Stato». Bono degli U2, con cui Gerson condivide l’impegno contro la povertà, lo ha definito «il compassionevole della Casa Bianca».
Subito dopo il crollo delle Torri Gemelle, Bush deve preparare il discorso per la cerimonia alla Washington National Cathedral. Entra Gerson. «Ehi Mike. Siamo in guerra. Voglio il discorso per questa sera». Gli ha scritto anche la dichiarazione di guerra a Saddam Hussein, a bordo dell’Air Force One. Di Franklin Delano Roosevelt, uno dei suoi paladini, ammira la definizione della Seconda guerra mondiale come scontro mortale fra la Croce e la Svastica. Nel corso di una discussione su un piano di investimento di 15 milioni di dollari per la lotta all’Aids, Bush ha chiesto il parere di Mike, il quale ha replicato con queste parole: «Signor presidente, se questo si può fare e noi non lo facciamo, non saremo mai perdonati».
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