
CHI E’ IL REAZIONARIO?
Come si spiega il fatto che, dal New York Times al Manifesto, tra le vestali del progressismo ideologico si siano registrate delle reazioni tanto piccate all’elezione di Joseph Ratzinger al soglio pontificio? Cos’è che inquieta (e non poco) certi liberal benpensanti e certi professionisti delle organizzazioni gay (che del pensiero relativista sono i portabandiera, da che modernità è anche la scoperta del machiavellismo, e cioè, nel caso in questione, di come si possa utilmente utilizzare in chiave di rivendicazione di un potere sociale una condizione umana che, di per sé, non autorizzerebbe il transfert emozionale sul piano della politica al fine di ottenerne compensi e prebende in quanto rappresentanti di una “diversità” cristallizzata in ideologia)? è chiaro, quella denuncia della “dittatura del relativismo” fatta da Ratzinger nell’omelia di apertura del Conclave e il fatto che la Chiesa cattolica incarni caparbiamente questa volontà di resistenza all’indifferenziazione come teoria e come prassi. Ciò sarebbe “reazionario” e “oscurantista”. Ma coloro i quali usano appioppare queste etichette ad altri rappresentano essi stessi il disagio reazionario e oscurantista di comunità politiche incapaci di dialogare e relazionarsi con fatti e persone se non attraverso il fuoco di sbarramento dell’ideologia e, di conseguenza, della manipolazione del linguaggio. In verità non esiste verità, ma nella loro testa è già tutto previsto: «non c’è nessuna fessura nella corazza dei fortunati del mondo post-sessantottino», direbbe Finkielkraut «essi occupano tutti i posti: quello, vantaggioso, del Maestro, e quello, prestigioso, del Maledetto. Il dogma, sono loro; la bestemmia pure. E per darsi arie da emarginati insultano urlando i loro rari avversari. In breve, coniugano senza vergogna l’euforia del potere con l’ebbrezza della sovversione».
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