
Dopo Imu e Tasi un’altra botta sulla casa. «Con la riforma del catasto rischiamo una patrimoniale»
La riforma del catasto non è un tema da prendere alla leggera. Perché, come spiega a tempi.it Corrado Sforza Fogliani, presidente di Confedilizia, «c’è il rischio di una patrimoniale». È quello che succede quando si decide di tassare un bene per il suo valore e non più per il reddito che esso produce. Questo nonostante l’Italia sia già il paese che più tassa gli immobili: il 2,2 per cento, rispetto a una media Ocse dell’1,27 per cento, secondo Confedilizia.
Presidente, secondo il Corriere della Sera, con il nuovo catasto, in certi casi, le imposte di compravendita sulla casa potrebbero subire aumenti nell’ordine delle centinaia di euro e la Tasi persino raddoppiare. È proprio così?
Premesso che non è affatto chiaro come certi giornali possano fare tutti questi calcoli, il rischio di rincari significativi c’è eccome. È ciò che succedere quando si sposta il carico fiscale dal reddito prodotto da un certo bene al suo possesso. Il motivo per cui il prelievo potrebbe aumentare, oltretutto, è che da troppo tempo ormai le commissioni censuarie locali e quella centrale di Roma possono fare praticamente ciò che vogliono.
Cosa sono le commissioni censuarie?
Sono gli organismi dello Stato incaricati di rivedere gli estimi degli immobili; si tratta di un centinaio di realtà dislocate sul territorio, più quella centrale, composte da magistrati, professionisti ed esperti, nominati a loro volta dagli agenti del Fisco. Sono queste persone, infatti, a decidere il valore di un immobile.
In che senso dice che «possono fare ciò che vogliono»?
Nel senso che da sempre la burocrazia si preoccupa dei propri stipendi. È gente che, di fatto, lavora per lo Stato e il cui stipendio dipende dalla salute o meno delle casse dell’Erario. È lo stesso motivo per cui è raro imbattersi in un magistrato tributario che prenda una decisione favorevole al contribuente. Perché il suo stipendio dipende anche da quella decisione. Ci sarebbe da chiedersi quanto queste persone siano effettivamente indipendenti nello svolgere il loro esercizio.
I criteri sulla base dei quali si valuta il valore di un immobile, e quindi l’entità del prelievo fiscale, sono oggettivi?
Dovrebbero esserlo, così come pure dovrebbero essere previsti correttivi nell’ottica di una maggiore equità fiscale; misure, insomma, che aumentino i valori eccessivamente bassi e riducano quelli troppo alti. Ma ormai vanno di moda questi algoritmi che servono praticamente a calcolare tutto. E che di fatto spingono sempre verso l’alto l’importo del prelievo. Il primo paese che ha adottato l’algoritmo per calcolare il valore degli immobili è stata la Spagna.
Con quale risultato?
Che in certi casi il valore reale dell’immobile si discostava persino del 20 o addirittura del 30 per cento da quello reale. C’è stata una rivolta popolare contro i primi estimi, tanto che il governo ha dovuto abbassarli del 20-25 per cento.
Succederà anche in Italia?
In Italia è la prima volta che, in occasione della riforma del catasto, si vuole censire non più solo i redditi prodotti dagli immobili, ma anche il loro valore reale. Personalmente ho qualche dubbio al riguardo… e non solo per evidenti ragioni di equità fiscale, ma anche perché c’è il rischio di una patrimoniale.
Una patrimoniale?
Sì, è già successo, in parte, con l’Imu, che è calcolata sulla base di coefficienti di rendita, ricavati però dai valori degli immobili censiti. Questa volta, invece, si pongono le basi per un’imposta che colpirebbe apertamente il valore reale degli immobili anziché il reddito da questi prodotto.
È sbagliato?
Sì, perché un bene – come in questo caso un immobile – non può e non deve essere tassato per il solo possesso, anche se non produce reddito; così come non può essere tassato oltre il reddito che esso produce. Oltretutto, la patrimoniale è un scelta di politica fiscale straordinaria e non può essere introdotta stabilmente nell’ordinamento soltanto per fare cassa.
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4 commenti
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La riforma del catasto è qualcosa che da decenni viene bloccata, quella si, da forti lobby. Con il risultato che appartamenti al centro di roma hanno un valore nominale molto più basso di appartamenti in estrema periferia.
Poi si può entrare nel merito delle tasse che lo stato chiede sugli immobili, e della loro entità, però premesso che sulla prima casa orami non ce ne sono quasi più (a livello IRPEF, c’è la TASI però), se uno ha più abitazioni e le tiene a sua disposizione (senza utilizzarle o affittarle) fa una scelta, e non può pensare di non pagare niente solo perché lui sceglie di non far fruttare un suo bene.
Nino, che classe!
Venga stabilita anche un’IRPEF minima di 1.000 € all’anno per tutti di disoccupati.
Non possono mica pensare di non pagare niente solo perché scelgono di non produrre redditi.
Nino al tuo confronto Padoa Schioppa era Robin Hood
Se lei ha due case, in una ci vive, l’altra dovrebbe metterla a disposizione della comunità affittandola (tra l’altro è possibile pagare le tasse in maniera forfettaria sugli introiti da affitto). Se la tiene sfitta ed “a disposizione” si sta concedendo un lusso ( o sta affittando in nero) ed i lussi si pagano.
Nino, dobbiamo ridere ?