
LA SPERANZA CHE ALLA PRIMA COMUNIONE NON DELUDE
Nel sole di una domenica di aprile nel cortile dell’oratorio bambine raggianti negli abiti della Prima comunione. Tutte in bianco, alcune in lungo, fiori fra i capelli sciolti, ballerine candide ai piedi. Si guardano, si sorridono, girano su se stesse a sentire il fruscio nuovo della gonna con le balze, sorridono a tutti. Felici di una felicità ignota ai coetanei maschi, che le guardano come un poí goffi, forse intuendole per la prima volta “altre”. Frivolezza, direbbe qualche austera catechista, di quelle per cui le cose serie devono essere anche un po’ tristi. Oppure, spiegherebbe un antropologo, l’eccitazione del “rito di passaggio”, di quei momenti che in ogni umana tribù scandiscono la crescita delle nuove generazioni. E però, tuttavia, non soltanto, non tutto qua.
C’è nella luce che hanno in faccia queste bambine qualcosa d’oltre; come se, così bianche, così belle, potessero manifestare visibilmente ciò che coscientemente non sanno: di essere, per natura, spose, chiamate a regalarsi a un uomo e ai suoi figli, oppure, alcune, fermamente volute da un amante geloso. Comunque, nate non per sé, ma per altro da sé. E la sposa si adorna, si scioglie i capelli, è bellissima nel giorno del suo dono. Non c’è bambina che, a tre anni, non impazzisca per un costume da fata, o da regina, rosa, lucente, col velo e la corona. Nessuna moda, nemmeno il femminismo è riuscito a scalzare l’abito da fata col cappello a punta dai desideri delle bambine piccole, per Carnevale.
Fate, e poi a otto anni tutte in bianco. Inconsapevoli, spesso, ancora – spesso lo siamo anche noi del resto – e però con quella memoria segnata dentro. La memoria di una speranza con cui sono nate. Di un destino promesso. Commuovono, così felici sotto il sole, danzanti in quei vestiti che danno forma alla loro inconsapevole attesa, quella di tutti, quella di sempre.
La speranza non tradisce? Pensi alla storia, pensi a chi conosci, e non hai dentro, in questa domenica così splendida, certezze, ma solo domande. Pensi a tante persone care, a tanti uomini e donne incontrate che ti hanno raccontato la loro storia, soli, e vecchi. In quante delle loro case hai visto antiche foto seppiate di bambine ridenti, in candide vesti di prima comunione, felici. La speranza, pensi, va ostinatamente mendicata. E comunque non puoi far tu i conti di quanta ne è rimasta, alla fine, in quelle case – nell’ultimo istante magari di speranza generosamente colmate.
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