
RIGONI E SERMONTI, LEOPARDI E DANTE DAVANTI ALLA NATURA RIBELLE
Scriveva Lucrezio nel secondo libro del De rerum natura: «Dolce, quando nel mare immenso i venti sconvolgono le acque, contemplare dalla riva l’affanno grande di altri; non perché l’angoscia di un uomo dia gioia e sollievo, ma perché è dolce vedere da che mali tu stesso sei libero». Il poeta russo Aleksandr Blok, alla notizia del disastro del Titanic si disse felice perché «so che l’Oceano ancora esiste». Filosofi e letterati hanno reagito nei modi più disparati di fronte a tragedie di massa e calamità naturali. «Questi campi cosparsi di ceneri infeconde, e ricoperti dell’impietrata lava» sono i versi della “Ginestra” di Leopardi, da cui prende spunto per una riflessione sullo tsunami Mario Andrea Rigoni, docente di letteratura a Padova e tra i più importanti studiosi in Italia di Leopardi. Dice Rigoni a Tempi: «Lo tsunami è stata come una scossa, un richiamo a ciò che sappiamo da sempre. Lì si è toccato con mano la verità leopardiana: la natura nel suo volto per metà bello per metà terribile. Quelli della catastrofe sono luoghi edenici della bellezza, in cui si avvera la terribilità mostruosa della natura. è una verità che abbiamo sempre sotto gli occhi. Sembrava un assaggio di apocalisse. Occorre una bella dose d’insensibilità per non essere terrificati da quello che è successo». Il più importante dantista italiano, Vittorio Sermonti, rileva invece per Tempi «l’effetto più schiacciante, dovuto al fatto che ciò che si è visto nel caso preciso di questa strage è che avevamo di fronte singole morti individuali. Una cosa che raramente capita: è il vero paradosso assurdo che 170 mila morti, di per sé una cifra, in tale caso erano 170 mila singole morti. Di solito, in questo tipo di tragedie, c’è una cifra astratta che globalizza, ci si contrista ma non oltre. Per via delle modalità con cui è avvenuto lo tsunami, ho provato la sensazione tragica che ci fossero 170 cose insostenibili, ciascuna insostenibile».
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