Preti-a-porter

Di Caterina Giojelli
08 Luglio 2004
Toc toc, spiriti buffi, siete in chiesa? No, sono sui binari a bloccare treni per combattere la monnezza, sono in curva allo stadio, sono ai concerti rock o in viaggio nel Chiapas. In nome del vuoto

«Chiesa non v’abbia mai né monastero;/ lassate predicar i preti pazzi,/ ch’hanno troppe bugie e poco vero»: Folgore da San Gimignano come Nostradamus. Pasci le tue pecorelle, ma previo bigino del buon marciatore nel 2000: lasciate che i bambini vengano a me, e caricateli su un pullman destinazione castagnata pacifista, amate i vostri nemici, e legatevi ai binari di una ferrovia, bloccate il mondo e l’Italia intera finché le vostre ragioni diventino buone come voi siete buoni. Solita tiritera anti no global, accenti politici e virgole arcobaleno? Maddai… vabbè essere i cattivi, quelli che ne abbiamo le palle piene di arpionare fuori dall’ufficio la bandiera yankee, quelli che Cofferati ci manda in andropausa, quelli che l’ausiliare della sosta ha le ore contate… insomma, quelli di Tempi, ma siamo anche quelli che ci piace, la domenica, chiudere la polemica in un armadietto e fare una capatina in chiesa da buoni cristiani. Ed ecco, nel giorno del Signore, l’armadietto che esplode.

Per chi suona la campana, ovvero quelli che la monnezza è una gran schifezza: igienisti di tutto il mondo unitevi sui binari di Montecorvino, le campane di padre Francesco, don Alessandro, don Bruno e padre Julian, suoneranno per voi, per voi che dopo l’incontro col prefetto di Salerno avete tanta voglia di Rosario, e sarà un po’ come sposarsi una seconda volta, combattere la sozzura invocando la Madonna (e pazienza per gli smadonnamenti di chi il treno per tornare a casa da mamma sua non lo può prendere e dice grazie alle vostre sdraio, alle tavolate con taglio di pecorino e alle angurie), e pensionate balenottere che finalmente possono provare l’ebbrezza del disobbediente, tanto ci sono anche i preti; preti coraggiosi, grazie ai quali si è indubbiamente evitato una bagno di sangue (e anche il ricondurre tanti bimbini riottosi al buon senso grazie al manganello della destra poliziesca). Dedicato a tutti gli Zanotelli e i Vitaliani mancati, cos’era il ’68 ve lo spiega la Scroppo.

Dio non è la Fiat, ovvero quelli che Dio non fa un pezzo sbagliato: disobbediente alla pulizia era già don Franco Barbero, oggi solo “signor Franco Barbero”, disobbediente a quella «caserma» (complesso edipico di un figlio di carabiniere) che è la Chiesa, in perenne repulisti «di chi la pensa diversamente», e pure un po’ «discoteca, da buttafuori» e soprattutto «sessuofoba», che teme il piacere, il piacere di ordinare “don” donne, e coniugare gay, e lesbiche, e abortire, e divorziare… e patatrac, togli la tonaca (a detta del Vaticano), rimetto la tonaca (a detta del suddetto, che «la felicità di essere prete non me la toglie nessun gerarca romano»), evviva la tonaca (a detta di tutti i neo sposini omosex che continuano ad aumentare, loro, i pezzi “non sbagliati” di quel gran pezzo di meccanico che è il buon Dio). Dedicato a tanti libertari, libertini e liBertinotti che, eccedendo in altruismo, han perduta la trebisonda.

La notte di Natale, ovvero quelli che c’è traffico sul pulpito: bergamasco trapiantato nel foggiano, don Fabrizio Longhi ha preso alla lettera il «guardate che se taceranno loro, grideranno le pietre», e il diritto di parola lo ha dato proprio a tutti, mesto, mesto, cedendo il pulpito. E così la piccola comunità di Rignano Garganico ha avuto il piacere di ascoltare un paio di omelie natalizie sui generis, la prima dell’imam della moschea di Roma (poco dopo rimosso per innocentissime invocazioni ad Allah, «affinché faccia trionfare i combattenti islamici in Palestina, Cecenia e altrove nel mondo»), la seconda di Pasquale Quaranta, 21 enne, salernitano, e gay. Standing ovation dei parrocchiani che, in reazione al trasferimento del “prete scomodo”, si uniscono in “comitato spontaneo”. Al Longhi tutta la solidarietà dell’onorevole Grillini, contro la «gerarchia vaticana che chiede l’invisibilità, propone l’ipocrisia del non dire e l’assurdità della castità», e dell’Associazione Genitori di Omoses-suali. Dedicato ai paladini dell’animismo minerario, che perdono il lavoro in nome della pietra.

Come cantavano “I Giganti”, ovvero quelli che “celerino, sei un figlio di…”: stranezze cosentine dal nome padre Fedele Bisceglia; trattasi di frate missionario che, dagli spalti rossoblù, si ritrova presidente del Cosenza Calcio 1914. Che altro fare per l’amata società il cui patron è un attimino indagato per estorsione e associazione di stampo mafioso? «Un umile francescano riuscirà dove altri hanno fallito», proclama il padre, e i suoi obiettivi dai campi cittadini si elevano alle vie della notte: contro le stragi del sabato sera «bevi sano, bevi l’elisir francescano», analcolico che urla credo e bergamotto, e dulcis in fundo, l’allestimento, nell’oasi francescana di Cosenza, di una discoteca, all’interno della quale «la droga ha ceduto il passo ai fiori che ogni ragazzo offre alla fidanzata». Dedicato a tutti quelli che irriducibili canticchiano «mettete dei fiori nei vostri cannoni…».

Pancotto fu il libro e chi lo scrisse, ovvero quelli che padre Pio si rivolta nella tomba: bollettino da manicomio: la Falchi per incontrare Dio cucinerebbe «tagliatelle al ragù, spezzatino, frutta di stagione e tutta la mia commozione per il grande avvenimento», Mirabella ha avuto un feeling pericoloso con una suora, la Marini deve rinunciare ad andare a Messa causa «troppa notorietà», Manfredi (pace all’anima sua) detesta Padre Pio e Signori invece lo ama sopra tutto. E c’è chi ha pure pensato di trascrivere tutto questo in un libro! Vips, vips e ancora vips, perché la missione di don Santino Spartà è «toccare il cuore di tutti, anche di quelli che mai si penserebbe che dedicassero parte della giornata alla preghiera», tipo Chiambretti, tipo i fotografi di Dagospia e Gossip.it… Dedicato a tutti gli evangelisti moderni che senza telecamera non c’è missione.

Quelli che «che bello, due amici, una chitarra e uno spinello»: il famigerato don metal-cappuccino, direttamente dal Gods of Metal, è «incazzato col le ingiustizie del mondo e vi canto “Viva la droga”!», e giù bestemmie che il Moige se le sogna, perché «per avvicinarsi ai giovani è necessario parlare il loro linguaggio», e che «il metal non è la musica di Satana» vallo a spiegare dalle parti di Somma Lombardo… più soft e commerciale lo style di padre Nike con «divertiti di più ma fallo con Gesù», dove tra preghiere, salmi, inni, techno, house, rock e funk, dj rapper don Maurizio conduce i giovani nella «discoteca di Gesù». Entrambe le patologie sono spesso ospitate al “Costanzo Show” e la dedica è a tutti quelli che «ma che diavolo intendono per “giovani”?».

Roma rivendica l’impero, ovvero quelli che le gabbie sono aperte, e gli animali scappano e portano la camicia nera XXL. Accade che venga messo al mondo qualche scriteriato con mezzo secolo di ritardo, e che la Roma delle Aquile si sia data una calmata, e che lo scriteriato venga sospeso a divinis e scomunicato pure dalla Confraternita di Lefebvre (rea di avergli elargito i voti scismatici). Ma Giulio Maria Tam dev’essere rintronato forte, dice messa per il Duce, si candida con la nipote, zampetta per Predappio vaneggiando di rosari e manganelli sul cuzzùn islamico, odia tutti, comunisti, americani, cattolici, Papa, fa un gran casino, vaneggia di Salò… lui nega ma a noi pare un vero disobbediente, di quelli che – d’idee contrarie – piacerebbero a Casarini. Dedicato a tutti quelli che al G8 volevano portare un amico grosso grosso.

Come Gino Strada
Sarebbe sterile a questo punto sparare sulla Croce Rossa, rivangare il YA BASTA di don Vitaliano nella missiva al subcomandante Marcos, lui, il virtual arruolato nell’esercito zapatista, moschettiere dei tre “Preti contro” sui retroscena vaticani, novello attore di se stesso in un film a lui intitolato e dedicato dal regista Pisanelli, o riflettere sui motti di don Gallo «la marijuana fa bene, è Fini che fa male», o sul connubio Grillo-Zanotelli al teatro Eden di Genova, e nemmeno soffermarci su don Luciano Scaccaglia che non convince gli animali a varcar le porte della chiesa per assistere all’omelia, ma convince Santoro… No, la questione è un’altra, finita la carrellata di spiritoselli ci piacerebbe capire tra tanti microfoni, piazze e telecamere, se qualcuno sia rimasto nell’antica, vetusta, antidiluviana parrocchia del quartiere. C’è poi un altro fatto inquietante, sempre in tema di religione del 2000, e riguarda un libro recapitatoci in redazione. S’intitola La danza della pace, di Giuliana Martirani. L’abbiamo letto un po’ tutti, e tra poesie irochesi, profumo di zagara, equilibri new age tra tutti gli elementi, omnicrazia, empowerment femminile (per cui Dio non è solo padre, ma soprattutto madre), pullulare di schemi durkheimiani (stile: titolo – es. “pace con se stessi”, ma anche “col mondo”, “con la società”, “col Creato” –, elaborazione e risultati) e Pericoresi (Dio e l’uomo danzano insieme), prefazione di monsignor Bregantini, postfazione di Zanotelli e Drago, fraseggi della Arundhati Roy affiancati al Papa e Bobbio, desideriamo condividere con voi un pezzo del capitolo “Quaresima del cambiamento”, sottotitolo «Gli uteri di misericordia della Madre: tutti gemelli ma non omozigoti»: «È tempo di ripensare a uno stile di vita tenero: di pace e di armonia, di danzare la pace con gli esseri umani e la natura, di danzare la vita e non la morte ricreando modelli di vita buoni e teneri, come già altre volte nella nostra storia sacra… La donna, Miriam, sembra essere il punto di svolta per il passaggio a un terzo millennio che si spera possa aprire davvero per l’umanità il cammino della pace attraverso l’era della in-nocentia, la civiltà della tenerezza». Amen. A proposito, l’editore è Paoline (Gesùmmmaria…).

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