
Alitalia, volano solo i debiti
Caso Alitalia o caos Alitalia? Quello che potrebbe sembrare un semplice gioco di parole rappresenta invece una triste quanto drammaticamente incombente realtà italiana. La compagnia aerea di bandiera, infatti, langue letteralmente su un baratro oltre il quale c’è soltanto il fallimento: le casse dissestate, la competitività ormai inesistente, i freni che i sindacati pongono a qualsiasi politica di taglio funzionale a un minimo recupero di efficienza sono altrettanti macigni che gravano sul futuro dell’azienda e del paese. Che fare? Le ipotesi sul tappeto sono sostanzialmente due: chiudere con il passato e aprire una nuova fase attraverso una politica di azzeramento sul modello di quanto avvenuto con la Swiss Air (il che sottende però l’eliminazione di quegli esuberi ormai fisiologici da un decennio) oppure la perpetuazione assistenziale e statalista dello status quo attraverso uno stanziamento di circa 200 miliardi di euro da parte dello Stato cui affiancarne altri 500 da recuperarsi attraverso tagli già bocciati dai sindacati e razionalizzazione minima del sistema. Occorrerebbe quindi una scelta di coraggio, certo dolorosa ma necessaria per mettere in moto un ciclo virtuoso che garantisca uno sviluppo a medio-lungo termine piuttosto che puntare sull’opzione falsamente indolore di una conservazione senza prospettive (anche con il perpetuarsi – tra l’altro impossibile – degli aiuti di Stato: infatti il dissesto finanziario e le perdite sono tali da non consentire l’utilizzo di scappatoie). Già, perché Alitalia vanta almeno un record nel settore delle compagnie aeree internazionali: perde 50mila euro all’ora. Solo nei confronti dell’aeroporto di Malpensa, poi, l’indebitamento della compagnia di bandiera è di 100 milioni di euro. Come è possibile una voragine simile? Semplice: malagestione, ipersindacalizzazione e qualche follia organizzativa tutta italiana. Vediamo qualche esempio.
TUTTI TAGLIANO, NOI NO
Dall’11 settembre 2001 ad oggi tutte le compagnie di bandiera sono state costrette ad attuare – non per motivi politici o antisindacali, ma per causa di forza maggiore, cioè ragioni di mercato – un drastico taglio dei costi e degli addetti. Il settore ha perso 35 miliardi di dollari e i tagli di personale riguardano decine di migliaia di addetti: 13mila licenziamenti alla British Airways, 11mila alla Delta, 7mila alla American Airlines, 2mila alla Lufthansa. Quattrocentomila posti complessivamente persi, dicono i dati del gestore Iata. E Alitalia? Niente, nonostante il buco nero dell’indebitamento e i rischi, reali, di fallimento, non è riuscita neppure a tagliare i 2mila esuberi di cui si parla da almeno un lustro. E ciò ha prodotto almeno un miglioramento del servizio? Neanche per sogno, ha solo prodotto debiti a fronte di tariffe fuori mercato. Il che vuol dire che l’allegra gestione statalista di Alitalia, estranea a ogni logica industriale, viene poi di fatto scaricata sugli utenti. Tant’è che malgrado le direttive comunitarie stiano cominciando a produrre risultati importanti in termini di abbassamento dei costi per gli utenti, Alitalia controlla oltre il 60% del mercato con costi fuori dal mercato europeo ed è stata presa di mira dall’authority di Tesauro per le sue “relazioni pericolose” con vettori minori come Meridiana o Volare e per certe “relazioni particolari” con alcune agenzie di viaggio che sono costate alla nostra compagnia di bandiera multe per due milioni di euro. Un’altra anomalia tutta targata Alitalia è quella della “flotta arlecchino”, ovvero la presenza di aeromobili di tutti i marchi, fattispecie che potrebe far pensare ad acquisti legati – si passi l’eufemismo – ad interessi extra-aziendali. Questa politica è infatti l’esatto opposto di quello che fanno le compagnie low cost, che hanno un solo modello di aeromobile proprio per ridurre al minimo i costi: a partire da quelli dei piloti che non possono essere fatti girare per tutta la flotta, in quanto hanno bisogno di addestramenti specifici per ogni velivolo. Per non parlare della manutenzione, che grava non poco sui costi Alitalia. Sono 3.500 tra tecnici, ingegneri e operai gli addetti alla manutenzione, con una capacità produttiva di 3,3 milioni di ore, di cui il 25% dedicato a terzi.
L’AEREO PIù PAZZO D’ITALIA: L’AZ1022
Come se questo non bastasse, poi, persiste l’esistenza di segmenti strategici, come i voli intercontinentali e i diritti di atterraggio (gli slots) più redditizi, non liberalizzati, ovvero proprietà esclusiva delle compagnie di bandiera garantite da protezioni pubbliche assimilabili a veri e propri sussidi in aperta contraddizione con i criteri di concorrenza e fair trade. Già, perché anche sul fronte dell’antitrust Alitalia non vuole sfigurare. Ma se pensate che questo possa bastare, vi sbagliate di grosso. Anche perché rischiereste di perdere due chicche di quelle storiche. La prima è quella riguardante il mitico volo AZ1022 che ogni mattina arriva a Malpensa alle 9 da Fiumicino: a bordo non uomini d’affari o turisti, ma gli equipaggi di 20-25 voli Alitalia – quasi tutti intercontinentali – che giungono a Milano per poi decollare verso le varie destinazioni. Perché trasferirsi ogni giorno da Roma a Milano? Semplice, a Malpensa – hub intercontinentale – non esiste una base di armamento per gli equipaggi, quindi bisogna attendere che piloti, assistenti e hostess arrivino tutti i santi giorni dalla capitale. Con due, enormi, conseguenze. La prima è semplice: se, come capita purtroppo spesso, il volo AZ1022 arriva in ritardo a Malpensa i venti-venticinque voli che attendono il personale di bordo per partire decollano in ritardo, congestionando gli slots e creando enormi disagi per gli utenti. Secondo problema, minore ma non troppo, ogni giorno Alitalia ci rimette soldi perché un volo di linea viene interamente occupato da passeggeri “non paganti”. Seconda perla è quella invece che riguarda l’hangar per la manutenzione degli aeromobili attualmente in costruzione alla Malpensa. I lavori, costati 70 milioni di euro, dovrebbero terminare entro luglio-agosto di quest’anno e per il mese di settembre è attesa la concessione in gestione dell’infrastruttura: ovviamente la scelta prioritaria di Sea, l’azienda che gestisce gli scali milanesi, è ricaduta su Alitalia, nonostante ci sia già una fila interminabile di società private e altre compagnie aeree pronte a fare i salti mortali per accaparrarsi la gestione del prezioso – e fruttuoso – hangar. E Alitalia che fa? Ad oggi non ha ancora dato nemmeno una risposta alla proposta avanzata: come mai? Mistero. Un punto, quello della colposa carenza infrastrutturale, stigmatizzato anche dal governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, che alle improvvide accuse del ministro del Welfare, Roberto Maroni, di disinteresse istituzionale risponde così: «Non avere una base operativa a Malpensa per piloti, steward, hostess, non avere pienezza di officine per i controlli, non avere aerei a disposizione rischia di penalizzarci a dismisura. Non mi interessa la guerra tra Linate e Malpensa: ciò che mi interessa è la crescita di entrambi gli scali in un’ottica di sistema». E che dire poi dell’annosa questione della cabina di “riposo” assente sui Boeing 767 in dotazione, ovvero spazi appositi dove i piloti impegnati in voli di lungo raggio possono riposarsi. A tal fine si usa giocoforza un sedile della business class, praticamente un divano, che però negli anni è stato dipinto come causa di enorme stress. E cosa ha fatto il management dell’azienda per venire incontro ai sindacati nell’ovviare al grave disagio? Ha generosamente ricompensato il “sacrificio” dei piloti con un’indennità oscillante tra i 700 e 1.200 euro al mese in più sulla busta paga. Che, moltiplicato per 13 velivoli dà un totale di 15.600 euro al mese, quasi 200mila euro l’anno: lo stipendio medio di due piloti. I piloti Alitalia volano 477 ore l’anno, contro le 568 ore volate dai piloti Air France, le 592 in Lufthansa, le 631 in British Airways e le 630 in Iberia, la ex compagnia di bandiera spagnola che oggi, privatizzata e risanata, è finita in cima alle classifiche europee per risultati economici. Lo stipendio medio di un pilota Alitalia è di 99mila euro all’anno, pari a una paga oraria di 207 euro (contro i 143, ad esempio, del pilota spagnolo). Un altro dato inquietante riguarda i biglietti.
INTERNET, QUESTO SCONOSCIUTO
Ogni ticket emesso da Alitalia incide per il 15% sui ricavi, contro l’1,6% di una compagnia low cost oggi tanto in voga. Impossibile snaturare un’organizzazione del servizio? Non è vero. Prendiamo il caso British Airways. Negli ultimi due anni la compagnia guidata da Rod Eddington ha tagliato 13mila posti di lavoro, riducendo il personale agli attuali 44mila addetti e introducendo nuove misure per migliorare l’organizzazione del lavoro ed abbassarne i costi. Negli ultimi due anni la compagnia ha imboccato la stessa strada seguita dalle società low cost per ridurre, attraverso la prenotazione via Internet, i prezzi dei biglietti e rendere più flessibile la propria offerta: il risultato è che oggi, su certe rotte e in certi periodi particolari, volare Ba può costare addirittura meno che volare con RyanAir o altre compagnie no frills. Proprio Internet, infatti, è considerata una delle carte su cui le aziende di trasporto aereo si giocano il futuro. Nel 2003, negli Usa la spesa online per biglietti aerei ha superato i 27 milioni di dollari. E per il 2005 la società di consulenza PhoCusWright si attende che il 30% di tutti i viaggi aerei per motivi d’affari verrà acquistato via Internet. In Italia, invece, uffici prenotazioni e affini sono più sovraffollati di ministeri. Se poi al costo del personale si aggiunge quello del carburante, del leasing del velivolo, della manutenzione, della navigazione e dello scalo, si ottiene un totale da brivido: su 100 euro di ricavi Alitalia, i costi sono pari a 109 euro, contro i 91 di una qualsiasi low cost. Ci vuole poco a tirare le conclusioni. La britannica Easyjet, il vettore con cui sono stati effettuati i confronti, più vola più guadagna. Alitalia, al contrario, più vola più perde. Perché quindi non intervenire? Provate voi a spezzare il “patto d’acciaio” tra Alitalia e agenzie di viaggi se ci riuscite. Certo che se l’aria che tira sul futuro di Alitalia è quella che spira da Melfi il rimedio pare peggiore della malattia…
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