Ma dove vanno gli europei

Di Rodolfo Casadei
23 Ottobre 2003
Più che a creare un mondo “multipolare”, l’asse franco-tedesco sembra intento a “finlandizzare” l’Europa a vantaggio dell’islam. I casi Irak, Mahatir, Iran, ecc.

E’ arrivata la risoluzione 1551 sull’Irak votata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, sono arrivate le rassicurazioni dai capi di governo della Ue che la forza di difesa europea sarà complementare, e non concorrenziale rispetto alla Nato. Ma in realtà la frattura transatlantica, cioè la crescente divaricazione in materia di politica estera fra americani ed europei resta la stessa, ed anzi continua ad allargarsi. Ne è indizio la lunga lista di distinguo che soprattutto i francesi (ma non solo loro) hanno formulato sulle due questioni. Talché è venuto il momento, dopo tante analisi sugli obiettivi e le strategie “imperiali” degli Usa, di chiedersi dov’è che vogliono andare i grandi paesi europei, al di là della retorica sul multilateralismo e sull’Europa superpotenza pacifica in fieri.

Perché Parigi e Berlino han votato la 1551
Subito dopo l’approvazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza l’ambasciatore francese presso le Nazioni Unite Jean-Marc de la Sabliere ha dichiarato che «questo documento non si spinge tanto avanti quanto avremmo desiderato. In particolare avremmo preferito un testo chiaro che stabilisse termini più restrittivi e ravvicinati per il trasferimento delle responsabilità (agli iracheni – ndr)». Le dichiarazioni dell’ambasciatore tedesco all’Onu, Gunter Pleuger, sono dello stesso tenore: «Manca il chiaro segnale che il trasferimento di sovranità agli iracheni sarà accelerato. Il ruolo delle Nazioni Unite ed in particolare del Segretario generale avrebbero potuto essere rafforzati di più». Insomma, francesi e tedeschi hanno votato una risoluzione con cui non erano d’accordo.
I termini del confronto sono più sfuggenti ma la sostanza è simile per quel che riguarda la costituenda forza di difesa europea. La presidenza italiana della Ue, il primo ministro britannico Tony Blair e perfino quello belga Guy Verhofstadt hanno puntualizzato che l’iniziativa europea sarà caratterizzata da “complementarietà” con il dispositivo Nato. Ma in una dichiarazione che compare sul sito Internet della Bbc è un altro il termine che Jacques Chirac utilizza per definire il rapporto fra l’”esercito” europeo e la Nato: «Non ci sarebbe Europa se non avesse una capacità difensiva che… dovrebbe essere aperta a tutti e compatibile con i nostri impegni verso la Nato». La realtà è che l’opzione strategica per un “mondo multipolare”, nel quale gli Usa non sarebbero più l’iperpotenza egemone di oggi, non è mai stata dismessa a Parigi e a Berlino. E la strada al multipolarismo passa inevitabilmente per l’umiliazione degli Stati Uniti, a Bruxelles (sede sia della Nato che della Ue) come a Baghdad. Non dimentichiamo che, fino a poco prima del voto al Consiglio di Sicurezza, le condizioni che i francesi ponevano (condivise anche da tedeschi e russi) per un voto favorevole ad una risoluzione sull’Irak presentata dagli Usa, era che prevedesse il passaggio totale dei poteri agli iracheni entro la fine dell’anno corrente: una ricetta sicura per il disastro in loco (all’esodo americano seguirebbe fatalmente una sanguinosa guerra civile) e per la definitiva perdita della faccia da parte degli Usa a livello planetario. I successivi ripensamenti franco-tedeschi si sono prodotti per ragioni principalmente tattiche. Per quel che riguarda l’Irak, una volta appurato che i russi erano intenzionati a votare a favore del testo americano, un’astensione o un voto contrario di Francia e Germania che sarebbe andato a sommarsi a quello della Siria avrebbe causato uno scandalo enorme: Parigi e Berlino schierate con uno “stato canaglia” contro una maggioranza comprendente Usa, Russia e Regno Unito. Per quel che riguarda l’esercito europeo, è chiaro che non è nell’interesse del gruppo di Tervuren (dal nome della località belga dove si vorrebbe insediare il nuovo comando eruropeo) buttare a mare la Nato prima di disporre di un nuovo strumento minimamente efficace.

Spirito di Monaco fatto passare per spirito di Assisi
In Europa le velleità multipolariste franco-tedesche fanno gonfiare molti petti, ma negli Stati Uniti sollevano giustificato sbigottimento. Ha scritto Thomas Friedman sul New York Times: «Quel che mi sorprende della campagna francese “Operazione l’America deve fallire” è che la Francia sembra non darsi pensiero per gli effetti che questo avrebbe sulla Francia stessa. Permettemi di dirlo in parole semplici: se gli Usa fossero sconfitti in Irak da una coalizione di nostalgici di Saddam e di estremisti islamici, i gruppi musulmani radicali -da Bagdad alle periferie islamizzate di Parigi- sarebbero tutti rinvigoriti, mentre le forze della modernizzazione e della tolleranza entro le comunità musulmane verrebbero messe in fuga». Friedman si meraviglia e fa la figura dell’ingenuo perché, da bravo liberal, non ha letto o non ha preso sul serio Paradiso e potere del neoconservatore Robert Kagan, il libro che meglio di tutti coglie l’attuale spirito europeo. Presentato dai suoi leader come “spirito di Assisi”, contrario alla guerra e alla politica di potenza per ragioni di principio, è in realtà il vecchio e immortale “spirito di Monaco”. Nella Östpolitik verso l’Urss di Breznev, nelle grandi manifestazioni pacifiste degli anni Ottanta contro gli euromissili, nell’immobilismo europeo di fronte alle stragi di Milosevic nei Balcani, nei mille piccoli e grandi cedimenti di fronte al radicalismo arabo si manifesta puntualmente lo spirito dell’Europa traumatizzata da due guerre mondiali: fare concessioni ai prepotenti pur di non essere trascinata in nuovi conflitti. Lo “sporco gioco” europeo consiste nel crearsi benemerenze presso le potenze minacciose in tumultuosa, contraddittoria ma sicura ascesa, per godere della loro benevolenza. Il mondo musulmano risponde a questo identikit, ed ecco che i segnali “distensivi” verso di esso si moltiplicano. L’ultimo in ordine di tempo coincide con la strana vicenda della reazione europea alle affermazioni antisemite del primo ministro della Malaysia Mahatir Mohamad («gli ebrei dominano oggi il mondo per procura, e mandano a morire gli altri al posto loro»), pronunciate alla conferenza dei paesi islamici. Il discorso è stato condannato dai governi di Usa, Germania e Italia, quest’ultima in rappresentanza della Ue. Ma, a quanto rivela il quotidiano israeliano Ma’ariv, Chirac ed il primo ministro greco Costas Simitis avrebbero sabotato il progetto di una dichiarazione comune di tutti i paesi Ue. L’Eliseo ha smentito, ma da Kuala Lumpur Mahatir ha aggiunto gaffe a gaffe, facendo sapere che «Chirac mi capisce, ed io lo ringrazio pubblicamente». La stessa logica del “segnale di fumo” l’abbiamo vista nelle dichiarazioni del presidente della Commissione europea Romano Prodi durante la sua visita in Egitto: ha condannato senza nuance alcuna il “muro” che il governo di Ariel Sharon sta facendo costruire e criticato gli Usa per scarso impegno nel processo di pace israelo-palestinese. Nessun accenno alle esigenze di difesa di Israele dagli attacchi dei terroristi, al sabotaggio condotto da Arafat contro il governo di Abu Mazen, alle responsabiltà di paesi come Siria ed Iran, ecc. No: Prodi ha semplicemente condannato Israele e Usa e portato a casa gli applausi del mondo arabo, che sono quelli a cui tiene di più.
Altro capitolo interessante è quello che riguarda l’Iran: nonostante Teheran non si sia ancora formalmente impegnata a sottoscrivere il protocollo addizionale richiestogli dalla Iaea (l’organizzazione internazionale per la sorveglianza della non proliferazione nucleare), lunedì i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Regno Unito si sono recati in visita presso il presidente Khatami dopo che alla fine di luglio la Ue aveva minacciato di congelare i rapporti commerciali con l’Iran se esso non avesse accettato le ispezioni internazionali. Ma già allora Dominique de Villepin aveva chiosato che non era nell’interesse della comunità internazionale isolare l’Iran. Le menti più lucide del radicalismo islamico, uomini come il presidente iraniano Mohammad Khatami, come Saif Gheddafi o Mahatir Mohamed, hanno perfettamente compreso il passaggio storico in cui ci troviamo: in un contesto internazionale che finirà per essere dominato dall’antagonismo globale fra Usa e Israele da una parte e paesi arabi e musulmani dall’altra, gli europei sono disposti a “finlandizzarsi”. Risolte le faccende interne (Al Qaeda e altri avventuristi) i leader islamici lungimiranti potranno tradurre in potenza militare e diplomatica la loro potenza demografica e petrolifera. E l’Europa diventerà l’anziano e grasso vassallo del Saladino tornato agli antichi splendori.

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