
Demolitori di civiltà
In un memorabile editoriale su Avvenire dell’8 gennaio Maurizio Blondet ha sbaragliato le tesi che un fine commentatore come Ernesto Galli Della Loggia aveva sostenuto nell’editoriale del Corriere della Sera il giorno prima. Lo studioso romano aveva espresso le sue educate critiche al fatto che «solo quando vi è di mezzo l’Occidente, e più in particolare gli Usa, la voce del Papa e il mondo cattolico esprimono il massimo di mobilitazione “a favore della pace”», e questo, oltre che uno sbilanciamento morale, costituirebbe un pericoloso favore fatto ai dittatori di tutto il mondo perché «finisce con il rafforzare l’idea che la massima autorità spirituale dell’Occidente sia anche uno dei suoi più aspri critici». Blondet ha avuto buon gioco nel rispondere che «La Chiesa ricorda all’Occidente esigenze che esso stesso si è posto: la forza al servizio del diritto. Essa lo fa in quanto geneticamente occidentale: il suo discorso è interno all’Occidente, proprio come Socrate fece domande fastidiose al potere di Atene, in quanto vero ateniese. Il cristianesimo non è occidentale per caso: lo è in modo costitutivo. Lo ha fondato e difeso. La Chiesa parla all’Occidente con tutto il diritto che le viene dalla storia: essa si dichiara e si chiama, non a caso, romana. Si vuole erede di Roma, ossia – idealmente – della forza in difesa della vita e della pace… anche il cattolicesimo d’oggi ha i suoi fondamentalisti: che vorrebbero la Chiesa una pura “Gerusalemme”, e non una concreta “Roma”. Il terzomondismo, la teologia della liberazione, il cattocomunismo furono tutti ispirati a quest’idea di Gerusalemme interamente spirituale, separata da Roma terrestre». Meglio non si sarebbe potuto dire: una delle caratteristiche essenziali dell’Occidente è esattamente la capacità di critica di sé, senza la quale esso non sarebbe mai diventato grande come è diventato. Senza la piena legittimazione dello spirito critico non sarebbero mai nate le istituzioni a difesa della libertà, non ci sarebbero state le scoperte scientifiche e le loro applicazioni tecnologiche, non sarebbe stato possibile alcun progresso civile e sociale. Infatti nelle altre civiltà, dove l’unica autocritica ammessa è quella che richiama gli individui ad una maggiore fedeltà ai valori ed alle istituzioni “tradizionali”, libertà e progresso sono rimaste fuori dalla porta fino a quando tali società non sono entrate, in maniera più o meno turbolenta, in rapporto con l’Occidente. Il Papa, perciò, va continuamente ringraziato sia dai credenti che dai non credenti per le sue autorevoli critiche alla società contemporanea, perché esse sono un contributo insostituibile che permette all’Occidente di restare se stesso. Il problema serio nasce quando, nella Chiesa cattolica, ci troviamo davanti a casi non di autocritica, come nel caso degli interventi papali, ma di autodemolizione, dove è trasparente la volontà di ridurre la Chiesa a “pura Gerusalemme” e l’Occidente a cumulo di macerie. Gli esempi, purtroppo, sono sempre più numerosi.
mai un dubbio, sempre indignati
Quando il comboniano Alessandro Zanotelli insiste per un ventennio di seguito a definire il cammino storico dell’ordine mondiale un «sistema di peccato e di morte» tout court, la volontà demolitoria, e non certo lo spirito critico fonte di ogni riforma, è palese: un sistema che genera morte non si cambia, ma si può solo abbattere. Peccato che il giudizio non rifletta onestamente la realtà: esso ignora deliberatamente che accanto a grandi crimini ed ingiustizie si danno successi incoraggianti proprio in termini di vita. Nell’ultimo ventennio, fra i poveri, la speranza di vita alla nascita è cresciuta; la percentuale di affamati, analfabeti e miserabili è diminuita; il reddito pro capite è aumentato, il tasso di mortalità infantile ha conosciuto una flessione; il “sistema che genera morte” ha prodotto una situazione per cui la popolazione mondiale di oggi è esattamente il doppio di quella di 40 anni fa; interventi internazionali e la presenza di contingenti militari di vari paesi permettono a milioni di persone di vivere in pace anziché essere massacrate come in un recente passato in Bosnia, Kosovo, Timor Est, Sierra Leone, ecc. Il mondo, insomma, assomiglia a quel campo evangelico dove il buon grano cresce insieme al loglio, e non si può pretendere di estirpare il secondo prima del giudizio finale di Dio, perché l’unico risultato sarebbe quello di fare del male anche al grano. Ovvero assomiglia a quel che il buon senso fa scrivere ad Alessandro Manzoni: «Non sempre è possibile tagliare a metà in modo che il torto stia tutto da una parte e la ragione tutta dall’altra». Ma Zanotelli e i suoi simpatizzanti sono convinti di saperne di più sia del Vangelo che dei Promessi Sposi: avete mai letto una loro sofferta riflessione sul modo migliore per combattere l’Aids in Africa, se cioè sia meglio usare le risorse finanziarie disponibili per distribuire a pioggia antiretrovirali a prezzo calmierato o piuttosto investire nei sistemi sanitari locali disastrati? Li avete mai sorpresi sinceramente esitanti di fronte a questioni come la Bosnia, il Kosovo, l’Afghanistan di Al Qaeda o lo stesso Irak, dove ci si assume la responsabilità delle sofferenze e della morte di migliaia di persone sia che si intervenga militarmente sia che ci si limiti ad iniziative diplomatiche di stampo pacifista, che lasciano il campo libero ai boia di turno (Slobodan Milosevic, Saddam Hussein, Osama Bin Laden)? La risposta è no, perché costoro nella realtà non vedono mai problemi o dilemmi, con cui occorre misurarsi avendo presente la capacità di bene ma anche il limite umani, bensì sempre e soltanto scandali, occasione di indignazione morale e pose virtuose. Questa rottura idealista col principio di realtà, la quale lascia intendere che la volontà politica ben ispirata potrebbe risolvere tutti i problemi perché tutti i problemi altro non sono che espressioni di ingiustizia nei rapporti fra gli uomini, è anche una rottura col realismo cristiano, su cui si è fondata l’esperienza storica dell’Occidente. Il millenarismo zanotelliano percorre la stessa parabola di tutti i millenarismi: vorrebbe trasportare la Città di Dio dal Cielo alla terra, ma riesce soltanto a peggiorare la situazione della Città terrena.
sciopero eucaristico
L’esempio più recente di religiosi cristiani post-cattolici e demolitori antioccidentali è certamente quello dei comboniani di Puglia. Il 6 gennaio scorso, come è noto, non hanno celebrato la Messa dell’Epifania di Nostro Signore per protestare contro «un clima di complicità nell’ingiustizia e di guerra nei confronti del Sud». A tutti hanno dato l’impressione di comportarsi come una qualunque categoria di lavoratori sindacalizzati, che incrociano le braccia come forma di lotta per vedere accolte le loro rivendicazioni. La Messa ridotta a servizio di pubblica utilità, il sacerdozio ridotto a potere contrattuale: desacralizzazione più spinta sarebbe difficile da immaginare. Ma ecco che davanti alle reazioni sfavorevoli i comboniani precisano: non è uno sciopero della Messa, dice il loro superiore regionale Gianni Capaccioni, sarebbe una bestemmia, è un digiuno eucaristico per provocare le coscienze. Peggio la toppa del buco: la riduzione della Messa, che è ripetizione del sacrificio di Cristo, a “cena del Signore” denuncia uno scadimento teologico che non resta senza conseguenze. Oltre che uno dei Misteri centrali della fede, il sacrificio eucaristico è una delle pietre angolari della civiltà occidentale: non è più necessario offrire sacrifici umani agli déi, perché Dio stesso si è offerto in sacrificio per il bene degli esseri umani. La civiltà occidentale come civiltà umanistica si fonda sulla sostituzione dei sacrifici umani col sacrificio che li sostituisce tutti: quello che per amore dell’umanità Dio compie sacrificando se stesso. Negare agli uomini la Messa non significa imporre loro un digiuno che può farli riflettere, ma sottrarre loro il fatto decisivo da cui è derivata nella storia la novità antropologica che sta alla radice della civiltà occidentale. Un atto di demolizione di civiltà, appunto.
togliete il crocifisso
Altro esempio dello stesso genere è il pronunciamento dei missionari saveriani contro la circolare con cui il ministro dell’istruzione Letizia Moratti ha ricordato ai presidi l’obbligo per legge dell’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche. Benché il ministro abbia sottolineato che la croce del Signore «a parte il significato per i credenti, rappresenta un simbolo della civiltà, indipendentemente da una specifica confessione religiosa», gli epigoni dell’incolpevole Francesco Saverio, sordi a qualunque spiegazione, esprimono il loro dissenso: «La proposizione della propria identità religiosa e culturale non deve mai essere raggiunta a scapito di una miglior convivenza tra culture e fedi diverse. Bisogna smetterla di fare della croce lo strumentale baluardo di uno Stato confessionale. Serve, al contrario, intensificare l’impegno per un’educazione interculturale». In poche righe i religiosi saveriani riescono a riunire tutti gli equivoci e le false idee che dopo il Concilio Vaticano II hanno mandato gambe all’aria la missione ad gentes e che rappresentano un suicidio programmato anche in termini di civiltà. C’è l’idea sbagliata che la convivenza con i diversi esiga la censura della propria identità; c’è l’equivoco che l’esposizione del crocifisso in luogo pubblico sia il segno di uno Stato confessionale; e c’è l’idea sbagliata, ma politicamente corretta anche in molti ambienti ecclesiali, che le culture siano tutte eguali e abbiano tutte lo stesso valore. Queste idee ed equivoci puntano dritto alla demolizione della nostra civiltà: quando una società si vergogna dei propri simboli fondamentali al punto di giudicarli osceni e diseducativi, e anziché onorarli e trasmetterli alle nuove generazioni li accantona e li occulta, la catastrofe è vicina. Soprattutto se si tratta di un simbolo come il crocefisso, che concentra in sé valori universali di cui non solo i cristiani, ma tutti gli uomini hanno bisogno come dell’aria per la famosa “convivenza”: l’abolizione dei sacrifici umani attraverso il sacrificio del giusto, l’offerta gratuita di sé per amore degli altri, il buon diritto della vittima, il perdono e la riconciliazione, indispensabili risorse per la continua ricostruzione delle basi della convivenza sociale e, non ultimo, il principio della laicità dello Stato. Perché a dire “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” non sono stati Maometto, Bhudda o Zoroastro, ma Gesù Cristo. Che Dio perdoni i saveriani, che ci vogliono portare via tutto questo: noi non li perdoniamo.
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