
Il vero volto di Kruscev, persecutore della chiesa
L’infatuazione di una parte del mondo cattolico per Nikita Kruscev, il segretario del Partito comunista dell’Urss (1953-1964) che denunciò nel 1956 lo stalinismo, resta uno dei più grandi malintesi degli anni Sessanta. In realtà sotto Kruscev si ebbe la più vigorosa persecuzione antireligiosa sovietica dal tempo di Lenin: nel giro di un decennio furono distrutte o destinate ad altro uso fra i due terzi e i tre quarti delle chiese ancora aperte al culto; erano fra le 15 e le 20 mila quando il successore di Stalin andò al potere, non ne rimasero che 5mila quando nel 1964 fu allontanato dall’incarico. Kruscev programmò addirittura la completa ateizzazione dell’Unione Sovietica, che avrebbe dovuto compiersi nel 1984 con la definitiva scomparsa del clero ortodosso. Ad alimentare il mito di un Kruscev ben disposto verso i credenti contribuirono essenzialmente due fatti: il telegramma indirizzato dal segretario del Pcus a Giovanni XXIII per il suo 80° compleanno e l’udienza pontificia del 7 marzo 1963 a sua figlia Rada Krusciova.
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