Riecco Gheddafi, l’africano

Di Rodolfo Casadei
31 Ottobre 2002
Il colonnello di Tripoli coltiva un sogno: diventare il signore dell’Africa. Con le buone o con le cattive. Cioè finanziando guerriglie etniche e dittatori sanguinari

Stringe la mano a Berlusconi, somministra ossigeno al calcio italiano, si congeda (ma sarà vero?) dall’inconcludente Lega Araba, addirittura assume la presidenza di turno della Commissione Onu sui diritti umani per volontà degli Stati africani. Da quando, nell’aprile 1999, le sanzioni contro la Libia per la strage di Lockerbie sono state sospese, Gheddafi sembra diventato un altro uomo. Ma è soltanto un’illusione ottica: come ieri, come sempre, il colonnello rivoluzionario vuole diventare – per amore o per forza, con le buone o con le cattive – il condottiero di una moltitudine di popoli. E siccome gli arabi da trent’anni lo snobbano, ha deciso di diventare il signore degli Stati Uniti d’Africa.

Centrafrica e Costa D’Avorio
E’ l’ennesimo delirio onirico dell’autore del Libro Verde? Per niente. Lunedì, mentre il Presidente del Consiglio italiano atterrava a Tripoli, a qualche migliaio di chilometri da lì truppe libiche respingevano gli insorti che a Bangui, capitale del Centrafrica, erano arrivati a poche centinaia di metri dal palazzo del presidente Patassé. Cinquanta profughi in fuga sono morti sotto le bombe dell’aviazione libica. è la terza volta in due anni che il contingente libico, osteggiato dalla stampa indipendente e dalla popolazione, salva il poco amato capo di Stato. Nella vicina Costa D’Avorio, invece, le parti sono invertite: i ribelli, musulmani e nordisti, che dal 19 settembre minacciano di rovesciare il governo del presidente socialista Laurent Gbagbo, originario del sud cristiano e animista, dopo i primi successi favoriti dalle armi e dal denaro generosamente messi a loro disposizione dall’uomo di Tripoli sono bloccati all’altezza di Bouaké, la più importante delle città che controllano, a causa della presenza di un contingente militare francese di 1.300 unità. Patassé e i ribelli ivoriani non sono gli unici protetti di Gheddafi nel continente nero. Tanti ce ne sono, non tutti benedetti dalla stessa fortuna. Per un Charles Taylor che, con una guerriglia lunga sei anni che ha prodotto 250mila morti (comprese 6 suore americane stuprate e uccise dalla sua soldataglia), è diventato presidente della Liberia, c’è un Foday Sankoh che marcisce nelle prigioni della Sierra Leone dopo aver terrorizzato per un decennio il paese col suo Ruf, il Fronte unito rivoluzionario dedito alla mutilazione di migliaia di civili e responsabile di una destabilizzazione che ha causato 100 mila morti. Entrambi questi distinti signori sono stati addestrati, forniti di armi e denaro nei famosi campi di addestramento del regime libico, poi hanno insediato le loro retrovie e le loro basi per i traffici di armi e diamanti nel Burkina Faso, snodo centrale della connection libica nell’Africa nera. Esattamente come oggi i disertori dell’esercito ivoriano che stanno mettendo a fuoco il loro Paese.
Non hanno avuto bisogno dell’addestramento libico due grandi amici di Gheddafi come Blaise Compaoré, presidente del Burkina (che si è formato nelle accademie militari francesi), e Robert Mugabe, il padre-padrone dello Zimbabwe in rovina. Entusiasta della “riforma” fondiaria con cui quest’ultimo ha cacciato centinaia di coloni bianchi dalle loro fattorie e ha portato al collasso l’economia nazionale, Gheddafi ha versato 100 milioni di dollari di aiuto nel 2000, garantito forniture di petrolio allo Zimbabwe a condizioni di favore per 360 milioni di dollari e finanziato la muscolosa campagna elettorale con cui Mugabe si è confermato presidente con 1 milione di dollari tondo tondo.

Lunga storia di ingerenze
Le “attenzioni” di Gheddafi per l’Africa in realtà vengono da lontano, e allora come oggi erano fatte di lusinghe e di minacce. è del 1971 il primo tentativo (fallito) di golpe africano appoggiato dalla Libia, teatro il Ciad di Tombalbaye. Da allora se ne sono susseguiti almeno una dozzina in Niger, Senegal, Gambia, Ghana, ecc. Oltre a quelle di Liberia, Sierra Leone e Costa D’Avorio, Gheddafi ha appoggiato le ribellioni dei tuareg in Niger e Mali e le varie lotte di fazione in Ciad. Alcuni suoi amici o alleati una volta ascesi al potere hanno tagliato i ponti con lui per conquistarsi una rispettabilità internazionale. è il caso di Jerry Rawlings, presidente del Ghana dal 1982 al 2001. Ma le figuracce africane peggiori Gheddafi le ha raccolte in Uganda nel 1979, dove inviò le truppe a difendere l’agonia del regime di Idi Amin, e in Ciad, dove nel 1994 dovette evacuare la “striscia di Aouzou” al confine, occupata per vent’anni dalle sue forze. Ma quelli erano i tempi della “guerra fredda”, quando l’Africa nera era presidiata da francesi, sovietici e americani, e il disegno gheddafiano non aveva alcuna possibilità di realizzarsi. Nel quadro odierno, con l’Africa abbandonata a se stessa, il colonnello spera una nuova primavera. L’Unione Africana che nel luglio scorso ha sostituito la vecchia Organizzazione per l’unità africana (Oua) è soprattutto un parto della sua mente: fu lui a proporla al vertice Oua della Sirte del settembre ’99. Nella sua visione, dovrebbe riunire tutti e 53 gli stati del continente sotto un solo presidente. Provate a immaginare chi potrebbe candidarsi per questo ruolo. Ma cosa pensano gli africani delle avances di Gheddafi? Ha scritto Vusie Ginindza, giornalista dello Swaziland, uno dei paesi più corteggiati dal colonnello: «Che cosa abbiamo a che fare con la Libia, al di là del fatto che ci stiamo evidentemente aprendo all’astuto clientelismo e alle manipolazioni di uno showman megalomane, la cui fondamentale ossessione è di conquistare e governare l’Africa scippando voti emotivi e sostegno da nazioni che, come la nostra, sono considerate di scarsa importanza sul continente?». Mica fessi, gli africani.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.