Ammiraglio rosso per il naufragio

Di Rodolfo Casadei
16 Maggio 2002
La pavidità della comunità internazionale e la complicità della Francia preparano un’altra tragedia africana: il presidente uscente sta distruggendo il Madagascar

Quaranta assassinati nel corso dell’anno per violenze politiche, sei nella settimana corrente; 4 governatori provinciali sui 6 del paese che minacciano la secessione; blocchi stradali tenuti da reparti dell’esercito e ponti fatti saltare con l’esplosivo per produrre l’asfissia economica della capitale e dei territori dell’altopiano; preparativi per una guerra civile su base etnica in stato avanzato. Il palcoscenico di un’altra, imminente tragedia africana è il Madagascar, la grande isola al largo delle coste del Mozambico che, nonostante abbondanti terre fertili e mare pescoso, risulta classificata (col nome di Repubblica malgascia) fra i 20 paesi più poveri del mondo con un reddito pro capite di appena 250 dollari all’anno. Il colpevole della deriva che sta trascinando 15 milioni di malgasci dalla padella nella brace è Didier Ratsiraka, presidente uscente dopo 22 anni di potere incondizionato, iniziato nel 1975 ed interrotto per soli quattro anni fra il 1993 e il ’97. Dopo aver sprofondato il paese nella miseria, ora il 67enne presidente-ammiraglio formato alla scuola navale militare francese di Brest sembra pronto a farlo naufragare in una guerra civile, pur di non rinunciare al potere: nel dicembre scorso le urne gli hanno dato torto, la maggioranza del popolo ha optato per l’oppositore Marc Ravalomanana, imprenditore e sindaco della capitale Antananarivo, ma lui rifiuta pervicacemente il verdetto. Definisce i suoi avversari, che hanno raccolto il 51% e passa dei voti popolari e per i quali simpatizzano tutte le Chiese cristiane dell’isola (alle quali aderisce il 40% dei malgasci), «orda di neofascisti e nazisti». Si è trincerato coi suoi ministri nella città portuale di Tamatave, della cui provincia è nativo, e ha fatto bloccare dalle truppe che gli sono ancora fedeli l’unica strada per la capitale, provocando penuria e collasso delle industrie nell’interno dell’isola. Ha aizzato i governatori provinciali, che gli sono in maggioranza fedeli, affinché minacciassero la secessione dalle due province filo-Ravalomanana, rompendo quello che è un vero tabù nazionale.

Ordinaria amministrazione in quel mondo a parte che è l’Africa, direte voi. D’accordo. Ma il vero scandalo, nella circostanza, è che la comunità internazionale non alza un dito contro lo scempio della democrazia e la strategia avventurista di Ratsiraka, anzi: Onu, Oua (l’organizzazione degli stati africani), Unione europea e Francia (l’ex potenza coloniale) mantengono un’imbarazzata posizione di mediazione, che di fatto rafforza la ribellione di Ratsiraka, dopo avere addirittura stigmatizzato Ravalomanana perché si rifiutava di partecipare al ballottaggio indetto dal capo di Stato uscente. Costui insisteva di aver vinto le elezioni al primo turno, e che il ballottaggio era solo un’astuzia di Ratsiraka per preparare nuovi e più estesi brogli, in vista di una riconferma. Dopo mesi di braccio di ferro e la mediazione dell’Oua i voti sono stati ricontati, e il conteggio ha dato ragione allo sfidante: 51% delle preferenze per lui contro il 35% di Ratsiraka, e non 46 contro 40 come era stato inizialmente certificato. Ma il presidente uscente ha rigettato il verdetto e proseguito le sue provocazioni. La comunità internazionale ha partecipato senza entusiasmo all’insediamento di Ravalomanana, ha pregato Ratsiraka di rimuovere i blocchi stradali e ora chiede nuovamente ai contendenti di negoziare.

Gli amici francesi di Ratsiraka

Alcuni osservatori sospettano lo zampino della Francia dietro l’irriducibilità di Ratsiraka. L’ammiraglio è andato al potere quasi trent’anni fa quando i sentimenti popolari antifrancesi erano allo zenith, ha chiuso le ultime basi militari francesi rimaste nell’isola e ha imposto un regime socialista che traeva ispirazione dal nord-coreano Kim Il Sung, che Ratsiraka chiamava “fratello” e le cui opere venivano tradotte in malgascio. Ma da subito ha preso a tessere una rete di contatti personali con tutti i leader politici importanti dell’Esagono. Nel 1975 diventa amico di Jacques Chirac, allora primo ministro, che vent’anni dopo gli metterà a disposizione un appartamento comunale a Montparnasse all’epoca del suo “esilio volontario” (di esso è tuttora intestatario); Valery Giscard D’Estaing cede al fascino del “camaleonte” (così sarà chiamato Ratsiraka per le sue numerose svolte ideologiche) un anno dopo, e gli riserverà una colazione di lavoro all’anno per tutta la durata della sua presidenza. Quando nel 1990 Mitterrand, in piena campagna di “democratizzazione dell’Africa” francofona, visita il paese Ratsiraka lo accoglie con accenti entusiastici e metafore marinare: «Non bisogna mettere il Madagascar contro il vento della storia. E perciò intendiamo navigare d’intesa con la Francia, una nave moderna, sicura, affidabile, idrodinamica, funzionale e degna di fiducia!». A Le Monde l’ammiraglio-presidente vanta poi con nonchalance i suoi contatti con «i capi che si sono succeduti alla “Piscina” (la sede della Dgse, ex Sdece, il controspionaggio francese)».

Un post-comunista da 100 miliardi

Ciò premesso, non è poi così strano che l’Ambasciatore francese abbia inviato il suo numero due a rappresentarlo all’insediamento ufficiale di Ravalomanana; che Radio France Internationale abbia coperto la crisi malgascia con servizi che hanno provocato le ire non solo dei sostenitori del sindaco di Antananarivo, ma anche di molti missionari cattolici e dei 26 mila francesi e binazionali presenti nell’isola, che hanno protestato contro la loro stessa ambasciata. Certo, Ravalomanana non è avvantaggiato dall’essere presentato come il “Berlusconi malgascio”. Ma che dire di Ratsiraka, che negli anni Novanta ha sostituito lo Stato socialista con Procoops, un’impresa privata diretta da lui e dai suoi figli che vinceva tutti gli appalti del Madagascar post-marxista? Sophie, la figlia prediletta, alla vigilia delle elezioni ha festeggiato in un night della capitale il suo centesimo miliardo di franchi malgasci (15 milioni di euro). In 25 anni di carriera politica Ratsiraka è passato dal “socialismo credente” al liberismo economico a uso e consumo familiare, alla filosofia rosacrociana, all’“umanesimo ecologista”. Forse ai francesi piace perché ha tradotto in realtà uno slogan del Maggio parigino: «la fantasia al potere».

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