
Come Veltroni capitan Fracassa salì sull’Espresso per Porto Alegre
Qualche problema di bilancio L’Espresso deve avercelo, se per “coprire” il Forum di Porto Alegre sul suo numero della settimana scorsa ha dovuto fare ricorso a un réportage di Walter Veltroni, presente nella città brasiliana come ospite del Forum delle autorità locali convocato da Tarso Genro, sindaco trotzkista di Porto Alegre. Il servizio sarà certamente costato poco all’amministrazione, ma qualche inconveniente a livello contenutistico lo provoca. Intanto il pezzo viene, come impaginazione, subito dopo un réportage sui Dong, esotica popolazione delle montagne della Cina meridionale, e dà quindi un po’ l’idea del pendant politicamente corretto da sempiterno esotismo degli europei post-rivoluzione industriale. Poi c’è da dire che i box informativi sui protagonisti di Porto Alegre sono decisamente approssimativi (probabilmente gli appunti di Veltroni, preso da tutt’altre priorità, erano un po’ confusi). Bernard Cassen, presidente di Attac, viene presentato come direttore di Le Monde Diplomatique (immaginiamo l’espressione contrariata di Ignacio Ramonet). Joao Pedro Stedile, un pazzoide a capo dell’ala estremista del brasiliano Movimento Sem Terra, viene presentato come un leader di gruppi indigenisti. Di José Bové si scrive che è stato «attaccato dai movimenti contadini latinoamericani perché sostiene la politica di aiuti all’agricoltura dei Paesi Ue», eppure sull’uruguaiano Brecha, che aveva un inviato sul posto, leggiamo che Bové ha lasciato Porto Alegre in anticipo per «sottolineare polemicamente l’impossibilità di fare passi avanti rispetto alla sua proposta principale: la fine delle sovvenzioni agricole nel Primo mondo, che permetterebbero all’agricoltura del Terzo mondo di rinascere». Chi racconta la verità e chi scrive a orecchio? Quel che più infastidisce della Veltroni-story, comunque, è l’insopportabile vanità che trasuda. Il Walter si vanta di aver visitato favelas dove «uomini politici non se ne vedono mai, anche per paura fisica» e dove «con me non entra neanche la polizia». Buffonate. Visitare, come tanti fanno, una baraccopoli accompagnati dal missionario locale o dai leader della comunità –non certo dalla polizia- è più sicuro che passeggiare in piazza Duomo a Milano. Ve lo garantisce uno che ne ha visitate qualcuna in più di Veltroni.
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