
Dov’è l’islam moderato?
Vidiadhar Surajprasad Naipaul, neo-premio Nobel, non ha mai fatto mistero di non vedere gran differenza tra l’islam cosiddetto fondamentalista e quello che viene detto moderato. Per lui l’islam è imperialista, punto e basta. Sebbene anticolonialista, egli distingue tra quello occidentale, che lasciava intatte le culture, e quello islamico, che faceva tabula rasa del passato. «Non è mai esistito un imperialismo come quello dell’islam e degli arabi». È un orientale, si badi, che parla. Nel 1995, dopo un soggiorno in Pakistan, avvisò che l’islam stava «preparando la sua trasformazione». Profezia? Si vedrà.
Cos’è l’islam moderato?
Intanto concentriamoci sul presente e vediamo se, a dispetto del pessimismo di Naipaul, una differenza preziosa, da sottolineare e incoraggiare, tra islam fondamentalista e moderato c’è. Tema spinoso, che solo una voce fuori dal coro ha preso di petto. Il solista è Ernesto Galli Della Loggia, ogni editoriale del quale sul Corsera di solito sortisce l’effetto di aprire un dibattito nel Paese. Questa volta, però, silenzio. Forse perché in quello del 4.10.2001 ribadito in quello di lunedì 15) l’autorevole opinionista ha messo il dito sulla piaga, dicendo senza giri di parole che, a conti fatti, la differenza tra l’islam «moderato» e quello «fanatico» in molti casi si risolve nell’assenza o meno del sostegno al terrorismo. Doveroso distinguere tra i due modelli e non fare di ogni erba un fascio; anzi, approfittare dell’occasione per cercare di ricompattare il mondo islamico contro ogni deriva fondamentalista. Ma, ecco la domanda: cosa si intende per «islam moderato»? Non è forse quella porzione di mondo islamico che pratica i valori di democrazia, libertà e tolleranza, di rispetto dei diritti umani, di eguaglianza davanti alla legge, valori che sono, piaccia o no, occidentali? Ebbene, se c’è un’occasione in cui l’islam moderato può prendere esplicitamente una posizione che sia anche ideologica e di principio, è questa. In effetti, Galli Della Loggia ricorda nel suo editoriale che detto islam moderato non ha mai condannato apertamente, per esempio, la fatwa di morte contro Salman Rushdie, né gli attentati palestinesi, né le persecuzioni contro i cristiani. Né ha mai pensato di rivedere il proprio codice penale e di abolire, ove hanno vigore, le lapidazioni, le flagellazioni, le amputazioni, le discriminazioni sessuali. Anzi, nell’ultimo decennio ha avvicinato, semmai, vieppiù la propria legislazione alla sharia, effettuando un giro di vite sulla libertà religiosa dove ancora sopravviveva, su quel poco di pluralismo politico e culturale che c’era, sull’eguaglianza tra i sessi eccetera. Molto probabilmente ciò è avvenuto per far fronte alla crescente diffusione dell’integralismo (non dimentichiamo che in Algeria a suo tempo un partito islamico vinse addirittura le elezioni). Ma c’è anche un altro motivo, strettamente collegato a quest’ultimo: in diversi Paesi dell’islam moderato chi sta al potere ci sta in virtù della sua discendenza dal Profeta o da congiunti del Profeta. Da qui le monarchie assolute semifeudali o, nel migliore dei casi, paternalistiche che sono a svariato titolo «guardiane della fede». Gli altri Paesi sono di solito repubbliche reggentisi sull’esercito con premier il più delle volte eletti praticamente a vita e/o premierati ereditari. Insomma, sarebbe l’ora che l’islam moderato si decidesse a diventare, una buona volta e del tutto, davvero moderno; e sarebbe anche l’occasione giusta per prendere le distanze o mettere una definitiva sordina alla sharia anziché continuare a scivolarvi dentro. In effetti, non si può continuare a sopportare, nel Terzo Millennio, che una bella fetta di umanità sia costretta a vivere sotto leggi che considerano l’irreligiosità un crimine e applicano pene semplicemente efferate. Fino a cinque anni fa, dei ventuno stati che allora aderivano alla Lega Araba soltanto quattro avevano sottoscritto la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948: Egitto, Siria, Iraq e Libano, non a caso repubbliche “laiche”. In un libro che meriterebbe di essere letto – Aspetti in ombra della legge sociale dell’islam, di Giovanni Cantoni – viene descritto puntualmente come le iniziative di dialogo tese a far aprire vieppiù il mondo islamico moderato sono di solito a senso unico, cioè da parte cristiana.
Professione? Musulmano
I risultati di questi incontri, poi, finiscono non di rado per venire sottaciuti o deformati da quelli che Jean-Pierre Péroncel, per anni corrispondente di Le Monde dal Cairo e da Algeri, ha definito «musulmani di professione», e che sarebbero quegli orientalisti, accademici, politici, preti, giornalisti «che, da quando gli Stati arabi possono mettere in bilancio investimenti nella propaganda, navigano a spese di questi ultimi di ricevimento in borsa di studio, di convegno in viaggio, di simposio in seminario». Gran parte di costoro, afferma il Péroncel, «si ritiene obbligata ad adottare, negli scritti e nelle dichiarazioni sull’islamismo, sull’islam o sugli arabi, un atteggiamento in cui l’eccesso di riverenza, l’omissione volontaria o, peggio, il travestimento o la compiacenza feriscono la verità, la scienza e infine – ed è l’aspetto più grave – la conoscenza reciproca fra non musulmani e musulmani». Come ha scritto Vittorio Messori, anch’egli sul Corsera, c’è pure l’imbarazzo di molti prelati che, per evitare ai cristiani guai peggiori, pur sapendo come stanno le cose in certi posti, stringono i denti e moltiplicano gli incontri di preghiera comune, gli appelli collettivi, gli abbracci cordiali. Il pontefice Giovanni Paolo II non sa più che gesti di buona volontà inventarsi: visite alle moschee, baci al Corano, invocazioni a s. Giovanni Battista perché protegga l’islam. Ma il concetto di reciprocità è tutto occidentale, perciò di cortesie in ricambio non se ne parla. L’islam moderato nella maggior parte dei casi, ne siamo certi, non può fare più di quel che fa, e sa bene che, al suo interno, maggiori aperture alla modernità implicherebbero una grande discussione pubblica sulla religione coranica, cosa che -Galli Della Loggia lo vede bene- nessuno di quei governi può permettersi. Eppure, insistiamo, se qualcosa si può fare, questo è il momento. Altrimenti, bisognerà aspettarne un successivo, che fatalmente arriverà quando l’Occidente sarà pronto a dotarsi di una fonte di energia diversa dal petrolio. Allora i nodi verranno al pettine e quel che non si sarà voluto fare oggi per amor di pace dovrà essere fatto domani per fame.
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