
Scuola di pacifismo:alla John Lennon
L’80 per cento del Parlamento italiano si è espresso a favore del sostegno dell’Italia all’intervento anglo-americano in Afghanistan contro le basi di Al Qaeda e il regime talebano che le ospita e protegge. Ma a più di un mese dagli attentati di New York e Washington non ho ancora avuto il piacere di incontrare, nel corso di una delle innumerevoli assemblee studentesche sul terrorismo e la guerra a cui sono stato invitato, un solo docente disponibile ad esprimersi pubblicamente davanti agli studenti in difesa delle decisioni assunte dagli Usa e dal governo italiano. Che il corpo insegnante delle nostre scuole medie superiori sia compattamente costituito da esponenti di Verdi, comunisti cossuttiani e Rifondazione comunista? Il sospetto non dura più di un attimo, perché subito emerge alla mente l’evidenza di un fatto: metà delle scuole a cui ho avuto accesso, in Lombardia ed Emilia-Romagna, è composto da istituti non statali di ambiente cattolico, non precisamente infarciti di docenti di estrema sinistra. Ma anche lì l’imbarazzo e il disagio davanti agli interventi degli studenti che pongono, direttamente o indirettamente, la questione «ma noi da che parte dobbiamo stare?», a volte è evidente. Allora forse il problema è un altro, forse a essersi imposta nelle scuole italiane non è tanto un’egemonia politica, quanto un’egemonia culturale e antropologica da sub-cultura giovanile: il relativismo nichilista alla John Lennon, quello della celebratissima Imagine, il malinconico motivetto che languidamente suggeriva: «Immagina che non ci sia nessuna patria, non è poi così difficile, niente per cui valga la pena uccidere o morire, e nessuna religione, immagina tutta la gente vivere la vita in pace…».
Assemblee scolastiche fra corride e censure
Non equivochiamo: i grandi meriti educativi delle scuole non statali sono fuori discussione. Anzi, risaltano palpabili proprio in circostanze come quelle attuali: le assemblee più attente, meno prevenute e veramente desiderose di approfondire le questioni di fondo che la crisi solleva (di cosa è fatto l’odio di chi è disposto ad uccidersi pur di uccidere? come si può affermare la positività della realtà quando la realtà è segnata dall’orrore terrorista e dalla guerra? cosa dobbiamo imparare per la nostra vita in un momento come questo?) sono normalmente quelle organizzate dagli istituti non statali, mentre negli istituti pubblici il dibattito tende a scivolare (non sempre ma spesso) in due tipologie opposte ma complementari: la corrida oppure la censura sulla discussione, come se non esistesse una via di mezzo ragionevole. Quando questo avviene, la responsabilità non è degli studenti ma sempre degli insegnanti che “governano” gli incontri o prendono la parola nelle assemblee. Ecco come.
La corrida. Mi sono capitate assemblee dove gli insegnanti salivano alla tribuna uno di seguito all’altro per pronunciare interventi memorabili come questi: «Non ci sto a dover scegliere di schierarmi o dalla parte degli americani che difendono la libertà, o dalla parte del fondamentalismo islamico che ce la vuole portare via, non mi potete imporre questa scelta»; «Il terrorismo nasce anche dal fatto che cinquant’anni fa hanno insediato un popolo sulla terra di un altro popolo, che ha sempre rifiutato i nuovi venuti»; «voi cristiani non potete criticare la condizione della donna nell’islam, perché i vostri presunti santi come sant’Agostino disprezzavano le donne». Normalmente gli studenti accolgono questo genere di interventi con boati e battimani, ma non necessariamente per significare un consenso alle opinioni espresse: ciò che li eccita è precisamente il fatto che i loro insegnanti non si comportano da educatori, non hanno il contegno dell’adulto, ma agiscono da tifosi, si sfogano come adolescenti rabbiosi e faziosi. I ragazzi applaudono lo spettacolo, il botta e risposta innescato dall’intervento polemico, la bagarre in quanto tale. La controprova di questa interpretazione l’ho avuta l’unica volta che la faziosità dell’insegnante intervenuta mi ha fatto perdere la calma e venir meno al mio principio di non umiliare mai, per nessuna ragione, il docente davanti ai suoi alunni: «È inaccettabile che un’insegnante presenti agli studenti la nascita dello Stato di Israele in questi termini», ho replicato alla signora che aveva parlato di “popolo sulla terra di un altro popolo”, ed è quasi venuta giù la sala nel tripudio generale dei ragazzi, che se avessero potuto mi avrebbero portato in trionfo. Non tanto per adesione alla mia replica, ma perché avevo messo pubblicamente alla gogna la loro insegnante: il massimo dello spettacolo.
Dibattiti: così imparziali, così sbilanciati
La censura. Quando non vogliono fare la figura degli adolescenti, quando vogliono confermare e rafforzare agli occhi degli studenti la loro immagine di sacerdoti del sapere e dell’etica, certi insegnanti organizzano tavole rotonde dalle regole rigidissime e dunque apparentemente imparziali, in realtà sapientemente sbilanciate dalla parte della tesi pacifista (“alla violenza non si risponde con la violenza; la pace si ottiene solo attraverso la pace”). Così capita di trovarsi a tavoli di tre relatori, dove due sono contrari all’intervento militare in Afghanistan; càpita che l’insegnante moderatrice del dibattito bacchetti gli studenti che hanno applaudito troppo entusiasticamente la presentazione del redattore del settimanale Tempi sottolineando che «non siamo qui a fare il tifo per qualcuno, tutti i relatori devono essere ascoltati con la medesima disponibilità ad imparare»; càpita che la stessa moderatrice ammonisca il redattore di Tempi, colpevole di aver definito “sbagliata” l’analisi del missionario saveriano Gabriele Ferrari secondo cui gli attentati antiamericani dell’11 settembre sarebbero conseguenze delle ingiustizie che l’Occidente alimenta nel mondo, dicendo che «la situazione è molto complessa, e nessuno può permettersi di definire sbagliata l’analisi di qualcun’altro»; càpita, ancora, che la stessa moderatrice ammonisca per la seconda volta il redattore di Tempi perché ha osato dire al microfono, a turno di interventi già esaurito, che l’Onu al cui non meglio definito intervento in luogo dell’azione anglo-americana i relatori pacifisti si sono appena appellati, si è già espresso sulla vicenda attraverso un voto del Consiglio di Sicurezza che riconosce la legittimità della reazione Usa: «non possiamo sempre fare precisazioni a quello che gli altri hanno detto, e poi Kofi Annan che è segretario dell’Onu ha espresso perplessità».
Docenti e studenti, stesso relativismo
E come sono gli studenti di tali professori? Beh, un po’ preoccupano. Perché tanti di loro se ne vengono fuori con ragionamenti come questi: «Bin Laden vuole diventare tanto potente da poter ricattare gli Stati europei come l’Italia, ma che differenza c’è fra lui e gli americani? Anche nel mondo dominato da loro la nostra sovranità è limitata»; «Bush dice che Bin Laden è un criminale, Bin Laden dice che Bush è un dittatore, perché dobbiamo scegliere fra loro due?»; «Lei dice che se gli Usa vincono la lotta contro il terrorismo il mondo sarà migliore, io credo di no, perché gli americani continueranno ad opprimere gli altri popoli». E quando gli fai notare che nel mondo dominato dagli americani si possono criticare in piazza Bush e Berlusconi senza essere imprigionati e torturati come in qualunque paese arabo se si dissente dal Bush o dal Berlusconi locale, che si può pregare o non pregare Dio come si preferisce, vestirsi e bere come si preferisce, fare o non fare l’amore come si preferisce, mentre nel mondo che hanno in mente Bin Laden e soci tutto questo non sarebbe mai più possibile, spalancano gli occhioni e ti guardano muti. Uguali identici ai loro insegnanti.
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