Bin Laden e Himmler, stessa lotta

Di Rodolfo Casadei
11 Ottobre 2001
Ha suscitato emozione la pubblicazione, sulla stampa di tutto il mondo compresa quella italiana, della traduzione dall’arabo del documento di “prescrizioni” che gli attentatori suicidi dell’11 settembre avevano portato con sé nell’imminenza dei loro attacchi.

Ha suscitato emozione la pubblicazione, sulla stampa di tutto il mondo compresa quella italiana, della traduzione dall’arabo del documento di “prescrizioni” che gli attentatori suicidi dell’11 settembre avevano portato con sé nell’imminenza dei loro attacchi. Si tratta di una vera e propria guida non soltanto dei comportamenti pratici per la buona riuscita degli attentati, ma circa la ritualità dei gesti da compiere e la spiritualità da coltivare durante l’azione. Abbondano le citazioni dal Corano e dai detti del Profeta. E il lettore italiano resta certamente inorridito e sbigottito da passaggi come questo: «Quando inizierà il confronto, colpisci come i combattenti che non vogliono tornare in questo mondo. Urla “Allah Akbar”, perché queste parole riempiono di sgomento il cuore di quelli che non credono. Dio ha detto: “Colpisci al di sopra del collo, e a tutte le estremità”. Sappi che i giardini del Paradiso ti attendono in tutta la loro bellezza, e che le donne del Paradiso ti attendono, e che esse ti chiamano: “Vieni qui, amico di Dio”». Eppure, per quanto sconvolgenti possano suonare questo e altri brani del documento, la pericolosità del fanatismo dei militanti di Al Qaeda risulta maggiormente dai passaggi meno crudeli, quasi pietosi del testo. Là dove leggiamo: «bisogna affilare il coltello e non far soffrire l’animale che abbatti»; «Nell’atto del massacro, non causare sofferenza a colui che uccidi…»; «Non cercare la vendetta per te. Colpisci per amore di Dio». Segue la narrazione della storia di Ali ben Abi Talib, compagno del Profeta, che sospese il suo combattimento con un infedele che gli aveva sputato in faccia perché temeva “di colpirlo solo per vendetta”, e non per adempiere la volontà di Dio. Sono questi i brani che devono farci veramente tremare di paura, perché la caratteristica di tutte le ideologie rivoluzionarie e totalitarie che vogliono capovolgere il senso morale comune è proprio quella di separare nettamente la sfera dei sentimenti umani da quella dell’adempimento del dovere. E infatti lo scritto dei terroristi circa la necessità di colpire senza vendetta e senza odio fa venire in mente le parole di Himmler agli altri gradi delle SS riguardo alla “soluzione finale” della questione ebraica: «Credo che voi mi conosciate abbastanza, signori, per sapere che non sono assetato di sangue e che non traggo alcun piacere nel compiere qualcosa di penoso. Ma ho un sistema nervoso sufficientemente saldo e una coscienza del mio dovere sufficientemente sviluppata per compiere senza compromessi una cosa che riconosco necessaria». Per convincere gli esseri umani a uccidere senza rimorsi non bisogna appellarsi all’odio, ma alla virtù, al senso del dovere (rivoluzionario o religioso). Perché legittimare l’odio significherebbe legittimare anche la possibilità dell’amore, significherebbe legittimare i sentimenti, che includono sia l’affezione che la disaffezione. Il militante che oggi odia domani potrebbe provare pietà della sua vittima, ed arrestarsi. Ma non lo farà se fin dall’inizio agisce senza sentimenti. Presto ci troveremo di fronte una nuova schiera di anonimi “impiegati del male” identici ai nazisti descritti da Hannah Arendt.

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