Minzolini a processo per il caso Ferrario: «Ma come? La rottamazione ormai è un valore, solo in Rai è reato?»

Di Chiara Rizzo
16 Novembre 2013
Intervista all'ex direttore del Tg1 dopo il rinvio a giudizio per abuso di ufficio: «Rimossi la giornalista dal video perché stava lì da ventotto anni. Dopo la reintegrazione feci di tutto per andarle incontro, ma non cavai un ragno dal buco»

Ieri il gup di Roma Rosalba Liso ha rinviato a giudizio l’ex direttore del Tg1 e oggi senatore Pdl Augusto Minzolini, accogliendo la vertenza della giornalista Tiziana Ferrario che lo ha accusato di averla demansionata rimuovendola dal suo incarico alla conduzione del Tg1. «Non pensavo che la giustizia italiana fosse arrivata a questo punto» racconta Minzolini a tempi.it: «Di persone sollevate dalla conduzioni e destinate ad altri incarichi è pieno il mondo. È accaduto con altri direttori del Tg1 prima di me e anche dopo. Il fatto che diventi una causa penale mi sbalordisce».

Si aspettava il rinvio a giudizio? Qual è stata la sua reazione ieri?
Francamente, da una parte c’è stata la sorpresa, ci sono state anche un po’ di perplessità e di amaro in bocca. Dall’altra parte, confesso che se oggi accendo la tv e vedo i volti giovani che ci sono – da Laura Chimenti, a Emma D’Aquino, ad Alberto Matano, tutte persone che ho lanciato io – mi viene da dire che forse ne è valsa pena. In questo paese si parla di rinnovamento, si dice sempre di fare largo ai giovani. Ma nei fatti queste cose restano lettera morta. Averlo fatto io mi riempie di orgoglio. Io credo che un certo mondo è rimasto indietro pure rispetto alla politica, dove oggi la rottamazione è diventato quasi un valore. Nel mondo Rai invece quella parola è un reato.

Come si difende dall’accusa di aver demansionato però la Ferrario?
Non scherziamo. Resto perplesso guardando ai fatti. Ricordo quando sono arrivato al Tg1 e ho presentato il piano editoriale: avevo immaginato un rinnovamento anche delle conduzioni, era necessario dare un segnale di novità. Quando ho cominciato il mio mandato infatti la media anagrafica degli spettatori era di 62 anni. Quando sono andato via era di 58 anni. Per ottenere questo, oltre che cambiare lo studio, il linguaggio, le voci e la sigla, occorreva cambiare anche i volti ma questo ha fatto drizzare le orecchie a chi sarebbe potuto essere spostato ad altro ruolo. Al mio arrivo, mi sono ritrovato con un mare di precari, ben 18 giornalisti: ricordo che mi ha colpito scoprire che tra di loro ce n’era uno della mia stessa età e con due figli. Mi ha disturbato questo fatto, mi chiedo se si può arrivare ad avere mezzo secolo di età e nessuna garanzia o stabilità professionale. Così li ho presi tutti, e specifico che non sono persone che ho scelto io, ma che erano stati scelti dai miei predecessori, i vari Lerner, Riotta, eccetera. Non conoscevo nemmeno l’orientamento politico di questi giornalisti. Per l’azienda si è trattato di uno sforzo economico, e chiaramente questo ha richiesto dei cambiamenti anche per altre posizioni, compresa quella della Ferrario.

Come sono andate le cose con lei?
Io le annunciai che avevo intenzione di farla diventare inviata per i grandi eventi, tant’è che le dissi che volevo mandarla a Mosca a seguire l’attentato che c’era appena stato alla metropolitana. A quella proposta mi rispose che non poteva perché era in ferie. Poco dopo mandò una lettera, che io ho poi girato ai vertici dell’azienda, in cui si dichiarava disponibile a fare il vicedirettore o il caporedattore o il corrispondente dall’estero. Io non potevo nominare un vicedirettore, che deve essere nominato dal cda, quindi non era un gesto nelle mie competenze. Le proposi di fare l’inviato e di andare stavolta in Iran, era l’epoca delle manifestazioni di piazza degli studenti e dell’onda verde, un fatto storico. Lei dopo un po’ di tempo rispose che non aveva trovato il visto di ingresso in Iran. Le chiesi allora di sostituire Giulio Borrelli come corrispondente da New York e lei accettò. Vorrei sottolineare che frattanto lei non aveva mai preso l’iniziativa di chiedermi di essere inviata a seguire servizi particolari. Data l’assenza di collaborazione e dopo la presa di posizione del giudice del lavoro (che aveva sentenziato il reintegro della giornalista, ndr) e vedendo che non si cavava un ragno dal buco, mi sono messo a disposizione dell’azienda per trovarle una nuova sistemazione. A quel punto le è stata anche prospettata l’ipotesi di andare a fare il corrispondente da Madrid: lei ha sostenuto che questo non è vero, che non c’era realmente l’intenzione di mandarla lì.

Invece l’intenzione da parte sua c’era davvero?
Ribadisco di sì. Avevo anche coinvolto i vertici dell’azienda perché ciò avvenisse, ma lei mi ha risposto di no per problemi di famiglia. Allora le ho proposto di fare il caporedattore ad personam a Milano, ma di nuovo lei ha detto di no. Dato che non succedeva nulla, e sarebbe potuta maturare la logica del demansionamento, l’ho promossa a caporedattore e l’ho messa nella linea del mattino, dove c’era esigenza di una copertura. Segnalo che anche dopo che me ne sono andato via, con la Ferrario i miei successori non hanno cavato un ragno dal buco. Orfeo sei mesi fa le ha proposto di fare il corrispondente da New York, ci è andata per due mesi ed è rientrata perché non le piaceva. La sua decisione di intentare contro di me una causa per demansionamento quindi mi amareggia, perché demansionare significa mettere una persona in una stanza a non far nulla. Non è stato affatto così nel suo caso. Posso aggiungere una cosa?

Dica.
La Ferrario è in Rai dal ’77, è stata una delle ultime fortunate ad avere il praticantato perché da allora in poi si è sempre entrati per concorso. Io avrei potuto fare il direttore del Tg1 “passacarte”: sono andato lì invece cercando di portare novità, portando una decina di nuovi conduttori. Ora, non pretendo che questo mi sia riconosciuto come un merito, ma che sia addirittura un’attività a rischio di azione penale, mi lascia perplesso. Io non ho mai avuto intenzione di penalizzare nessuno, tanto meno la Ferrario: per spostarla dalla conduzione ho solo guardato l'”anagrafe del video”. La Ferrario faceva la conduttrice da 28 anni, sono quattro generazioni di giornalisti. Ho pensato di potermi assumere una responsabilità e di offrire anche ad altri la chance di condurre. Oltretutto Bruno Vespa ha fatto il conduttore per cinque anni. Un personaggio come Paolo Frajese ha condotto il Tg1 per sette anni. Un direttore del Tg dura in media un anno e mezzo, un premier in media due, un presidente della Repubblica dura sette anni, al massimo quattordici, sempre la metà di ventotto. Ma poi cosa ci avrei guadagnato io a perpetrare un abuso di ufficio?

Come ha reagito la sua vecchia redazione? Qualcuno le ha espresso solidarietà?
Ma de che! Lì dentro è una guerra. Il mondo Rai è impregnato di una certa cultura che sinceramente non riesco nemmeno a definire. Lì ci sono persone che immaginano che l’azienda sia la loro, un po’ come quel vecchio slogan che diceva “la Rai siamo noi”. Ma la verità è che è di tutti e di nessuno. Una domanda che mi porrei infine è: ma il problema del rinnovamento, della regolarizzazione dei precari me lo dovevo porre io, o forse lo dovevano porre i sindacati?

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