Partito unico delle brutte idee

Di Ubaldo Casotto
28 Giugno 2001
Grossmann, chi era costui? Perché in Italia autori come Solgenitsyn, Conquest, la Arendt sono dei Carneadi? Lo spiega Pierluigi Battista con una spietata descrizione del gruppo tollerante solo con chi è d’accordo col suo verbo. E lancia una provocazione: sciogliamo “Il partito degli intellettuali. Intervista a Pierluigi Battista cura di Ubaldo Casotto

Scusi Battista, ma cosa le hanno fatto di male gli intellettuali italiani? «Cosa m’hanno fatto di male, cos’hanno fatto di male anche a lei che ha fatto il liceo negli anni Settanta ed era convinto, o almeno hanno tentato di farle credere, che Solgenitsyn fosse uno scribacchino di second’ordine al soldo del dittatore cileno Pinochet! Faccia ai suoi coetanei i nomi di Souveraine, Orwell, Grossman, Berdjaev, Conquest, Fejtö, Arendt, Salamov… So che i lettori di questo giornale hanno dimestichezza con alcuni di loro, ma chieda alla maggioranza dei suoi coetanei se li conoscono, se li hanno letti e scoprirà che l’intellighentsia italiana si è resa responsabile di una pagina imbarazzante di silenzio omertoso e di imperturbabile indifferenza, un corale e ramificato “tradimento dei chierici” che hanno abdicato al proprio ruolo, anzi, questo tradimento gli intellettuali italiani l’hanno addirittura rivendicato».

Il richiamo ai valori? Son dolori

Pierluigi Battista, 46 anni, inviato ed editorialista della Stampa ce l’ha con Il partito degli intellettuali. Così si intitola il suo ultimo libro pubblicato da Laterza. Centocinquanta pagine dedicate alla cultura e alle ideologie dell’Italia contemporanea. «Ho voluto descrivere il modo d’essere degli intellettuali italiani in questi ultimi cinquant’anni…». E come li ha trovati? «Conformisti, sempre in gruppo, sempre tutti insieme, sempre tutti d’accordo…”». Come li vorrebbe, solitari? «Come Sciascia, come Montale come Parise, come Del Noce… voglio che siano quello che non sono stati ad esempio in questi cinque di Ulivo». Ora l’Ulivo ha perso… «Non è questo il problema, non si tratta di sostituire un partito degli intellettuali con un altro, io vorrei un decreto di scioglimento del partito degli intellettuali». Varrà il diritto di libertà d’associazione anche per loro? «È un diritto di cui hanno abusato. Ma al di là delle battute, gli ultimi cinquant’anni della vita culturale italiana non hanno visto conflitti tra culture diverse, ma solo singoli che coraggiosamente si sono ribellati a un partito unico e ai suoi imperativi, e sono stati emarginati, sono stati bollati con la qualifica di “traditore”, se pensa che è successo a Sciascia, a De Felice, a Beppe Fenoglio, a Rosario Romeo, a Carlo Cassola, a Pierpaolo Pasolini, addirittura a Luciano Violante». E quale sarebbe la colpa di Violante? «In una pubblica cerimonia si è macchiato del delitto di parlare del triste capitolo delle foibe. Zac! È arrivato anche a lui sul collo il consueto appello sottoscritto dagli intellettuali guardiani della verità stabilità una volta per tutte». L’uso dell’appello “contro” è per Battista uno degli strumenti che qualifica il partito degli intellettuali. «Insopportabile, sempre tutti insieme contro uno, è il punto di espressione della logica di gruppo che li muove. Si sono messi sotto la tutela della sinistra perché essa garantiva loro il senso della missione, il ruolo autoassegnatosi di incarnare i valori verso cui deve progredire il paese, un paese retrogrado nei confronti del quale si sentono investiti di una missione pedagogica, perché loro, gli intellettuali sono parte di una cosa giusta, sono dalla parte giusta e bisogna segnalare pubblicamente chi di questo spirito non è partecipe, peggio, chi lo abbandona. Ecco la funzione dell’appello, del richiamo ai valori». Parte, partito, sinistra… tutto asservito alla politica? «C’è una differenza. La politica a un certo punto obbliga a un rapporto con la realtà, impone una certa etica della responsabilità, il politico alla fine si mette in gioco. Gli intellettuali italiani no, si pensano come i custodi della giusta linea della purezza ideologica da richiamare a chiunque, il caso già citato di Violante mi sembra il più emblematico».

Il guardiano del bidone

Non c’è speranza? «Oggi sono la parte più conservatrice della sinistra, sono loro il residuo. Se si vuole riformare la sinistra bisogna scontrarsi con loro. Non tollerano che la sinistra si ripensi, che dialoghi, che non demonizzi più l’avversario. Hanno maturato questo abito mentale questa seconda natura e non se la strappano più di dosso. Il problema è che ormai la loro è una forza inerziale, non è più una forza propulsiva. E a ben vedere, forse, non lo è mai stata. Non hanno mai anticipato il partito, anzi, è successo sempre il contrario. Enrico Berlinguer è sempre stato più avanti degli intellettuali comunisti». Siamo dunque alla fine di un’egemonia culturale, possiamo stare tranquilli… «Tranquillo starà lei, io vedo sempre un corpaccione ingombrante, che non crea più niente di nuovo, ma che continua a ingombrare, che continua a occupare prepotentemente la scena. Non ha più un ruolo dinamico, non ha una coscienza critica, ma è rimasto a guardia del bidone, a guardia dell’ideologia. Il tabucchismo, la ripetizione dei luoghi comuni, gli anatemi contro il revisionismo storico… sono tutte forme dell’inerzia culturale cui sono giunti, il precipitato dell’egemonia». Analisi impietosa, che fare? «Non ho ricette, io ho voluto descrivere una situazione di non libertà e cercarne le ragioni. Le figure intellettuali da imitare non ci mancano e non mi faccia ripetere l’elenco. Però lei che è cattolico mi insegna che la coscienza del peccato è una delle prime conseguenze della fede…»

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